Era una mattina come le altre, sveglia alle 7, di corsa a scuola; 5 ore di lezione che sembrano non finire mai, i compagni che non sopporti, quelli che non vedi l'ora d'incontrare in corridoio o nella calca della ricreazione, giù in cortile, col freddo invernale che si presenta a tutti in nuvole sospese sui nostri pensieri.
La giornata era grigia, malinconica come c'era da aspettarsi, ma d'altronde non poteva che essere così, chiusi in quelle mura che avevano ospitato tanti ragazzi, tante storie, e che ci nascondevano sempre e comunque qualcosa, col loro passato religioso da convento.
E. pensava che quando c'erano giornate del genere, beh, forse era perché anche loro s'erano svegliate con la luna storta, magari erano semplicemente stanche di sorridere...magari la guardavano e si sentivano un po' come lei, condividendo pensieri cupi che - l'avrebbe scoperto anni dopo - sarebbero spariti come le orme sulla rena della spiaggia.
Non c'era un motivo preciso, o forse erano tanti, piccoli ticchettii che insieme costituivano un fastidioso rumore nei suoi pensieri, comunque E. pensava a mondi alternativi, li creava, li ammirava e li cancellava per dare sfogo alla rabbia e alla fantasia. L'equilibrio era difficile da trovare e ci sarebbe voluto del tempo.
Le persone, i visi, i gesti, sembravano scivolare come foglie che cadono dall'albero; le cose non avevano un senso apparente, erano più che altro qualcosa da osservare ed E. si sentiva avvolta da un tempo immobile, in cui le piaceva accoccolarsi e prendersi una pausa.
Quella mattina, però, cambiò una piccola cosa.
Minuscola, ma bella.
Era in classe, a lezione; leggevano The Love song of J. Alfred Prufrock.
La poesia è una creatura strana, ha mille forme e mille idee, intenti e modi che difficilmente si comprendono e si possono condividere, è qualcosa di potente e fragile insieme, un camaleonte che posandosi tra le nostre mani muta colore da persona a persona. E. non sapeva come o cosa significasse leggere e scrivere poesia, ma era come un colpo di fulmine, una folgorazione dolorosa e liberatoria, un grido dalle vette più alte dell'immaginazione, una corsa a perdifiato in mondi nuovi, bellissimi. Ti portava oltre te stesso e ritorno.
E quando tornavi, tutto cambiava.
Lo sguardo le cadde sul libro, noioso come tutti i libri di scuola.
Le parole erano lì, piatte, stampate su una pagina di seconda mano. Buffo.
La poesia era "vecchia" e in più apparteneva a qualcun'altro. Eppure E. capì che non era così.
Quelle parole non erano affatto vecchie, nè di seconda mano, appartenevano al tempo, alla storia ai nostri occhi... vivevano e pulsavano di una forza interna, erano qualcosa di ineffabile.
Poi le strade, i caffé, i ristoranti, e quelle donne, quella notte, i fumi gialli della città... tutto prese corpo, cominciò a muoversi e la poesia si tramutò in un quadro vivo, vivente, nascosto.
Fu allora che E. si rese conto di essere nata per quello.
Fu allora che le giornate non le sembrarono più grigie, ma assunsero colori diversi, sfumature di grigio, piuttosto.
E. abbracciò il suo dipinto nascosto e volò via, oltre i muri, i fili delle radio, dietro le nuvole.
The Love song of J. Alfred Prufrock
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