martedì 30 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Tre (Seconda Parte)

Giovedì, un'ora imprecisata della notte..

La festa non era niente male, dopotutto. Essere invitati ufficialmente aveva i suoi vantaggi, per cominciare potevi bere senza preoccuparti che qualcuno si ricordasse che tu lì non dovevi starci, poi potevi chiacchierare con tutti, senza dover evitare il padrone di casa.
Mentre i compari di Alex si aggiravano nel salottino, Alex cercava Susy.Qualche ora prima l'aveva vista entrare, stranamente sola, e prendersi una birra dal frigo di Chicca, poi però l'aveva persa di vista.

"Ehilà, Chicca!Come andiamo?Hai mica visto Susy?"
"Alex! Alla fine siete venuti eh!Forte!"
"Eh si, bhè sai mi sono liberato da un paio di impegni...Ma Susy l'hai vista?"
"Me l'immagino di quali impegni stai parlando, ma se vuoi ci si può impegnare io e te...", Chicca aveva decisamente bevuto troppo.
Normalmente Alex non avrebbe potuto chiedere di meglio, del fisico non gliene fregava niente, quando trovi una porta aperta entri e basta. Ma Alex quella sera usava le chiavi di un'altra porta.
"Oh, Chicca, me lo dici o no dove cavolo sta Susy?"
"Oh, rilassati!"
"Senti, dimmi dove sta Susy e poi forse tra un milione di anni te lo darò anche..."
"Idiota! Comunque, Susy è uscita con Danny a prendere credo birra e sigarette.Tanto comunque è inutile che ci provi."
"Ma stai zitta!"

Alex era seduto su un divanetto, Susy era fuori da parecchio e lui già si immaginava questo Danny, di cui non ricordava nulla tranne il fatto che lo odiava. La gente aveva cominciato a dormire per terra, qualcuno era tornato a casa, certi erano saliti sulla terrazza del condominio non si sa a fare cosa. Poi arrivò lei.
Susy aveva un paio di jeans mezzi rotti, una maglietta nera che risaltava il rosso dei capelli. In mano reggeva una birra.
Era il momento perfetto, lei veniva verso di lui, anche se, in effetti, non lo aveva affatto notato.

"Ciao, Susy!"
"Alex", gli rispose un po' fredda, ma con quel filo di voce di chi ha bevuto abbastanza.
"Allora, che festa eh!?"
"Non saprei, sono stata fuori con Danny, hai presente?"
"Ma certo, Danny..."
"Quello che fa il terzo di dottorato. Vabbhè.."
"Ma adesso stai da sola?"
"Ti sembra che ci sia qualcuno con me?"
"No infatti. Stai sola."
"Cioè, mi stai dicendo che sono troppo pallosa per avere compagnia! Bhe, ti ringrazio. E io che pensavo che dopo la figuraccia con Baudelaire almeno avessi capito quando aprire bocca..Vabbhè, ti saluto."
Baudelaire lo perseguitava ancora, dannazione!
"No, ma guarda che hai capito male! Anzi, per la verità mi stavo offrendo di farti compagnia..e magari vedere se riesco a salvarmi dagli errori del passato...Che ne dici?"
Susy si voltò lentamente, le labbra carnose poggiate sulla pottiglia di birra; ne bevve un sorso, poi all'improvviso:
"Ok. Lo sapevo che prima o poi ne avremmo riparlato. Però io tra mezzora devo andare a casa, e no, non mi puoi accompagnare."
"Bhe, ok, allora. Perfetto."

Mezzora dopo.

Susy guardò l'ora sul cellulare color pisello e decise che quella sera avrebbe interpretato la parte di Cenerentola scappando via.
Ma, come per quella gran culo di Cenerentola, anche lei, stranamente s'era divertita e aveva passato una buona serata.
Tuttavia Alex, che si alzò per salutarla mentre lei raccoglieva le sue cose,non poteva sapere cosa stesse pensando quella cretura tanto graziosa, così quando arrivò il momento di riportare Rico a casa prima che spargesse vomito sulle pareti di casa di Chicca, Alex si sentì vagamente triste e la sensazione di aver fatto un'altro buco nell'acqua cominciò a infastidirlo e a farsi sempre più vivida nella sua mente.
Quelle ultime ore della notte, poi, non passaro affatto bene.
Alex, come tutti e come sempre a queste feste, aveva finito col bere troppo e mentre stava sdraiato sul letto, la stanza si trasformò in una minuscola barca in balia del mare.
L'unica ancora di salvezza per superare le prime ore dell'alba fu l'immagine di Susy seduta a chiacchierare con lui. Non era stato per caso, o meglio, se anche era successo solo perchè era ubriaca, di certo non era casuale quell'ultima frase con cui l'aveva salutato...
"Allora ciao, ci vediamo a lezione...magari poi, non so, un'altra chiacchierata o sarai impegnato con la solita ragazza di turno...?"
E Alex, all'improvviso, mentre abbracciava la tazza del cesso, si rese conto che mai più sarebbe uscito con un'altra ragazza e che mai, e poi mai avrebbe più mangiato messicano prima di una festa a base di solo alchool.

martedì 23 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Tre (Prima Parte)

Giovedì ore 9.00

Alex si alzò barcollando dal letto.
Normalmente si sarebbe alzato solo nel tardo pomeriggio, ma, com'era chiaro dalla serata prima, questa non era una settimana come le altre.
Qualcuno, con ogni probabilità Rico, aveva programmato la sveglia per il giorno dopo.
Alex, assonnato ma abbastanza incazzato da poter ragionare sui fatti, cercava di riaddormentarsi quando, mentre metteva la sveglia sotto il cuscino, gli cadde l'occhio su quei libri che s'era procurato per portare a termine il suo piano e che ora lo fissavano dal comodino lì a fianco.
'Bhè, dopotutto visto che sono mezzo sveglio, potrei anche impegnarmi...In fondo i miei amici hanno ragione, il vecchio trucco non funzionerà mai con Susy.'
La colazione era qualcosa che nei giovedì mattina di Alex non era mai esistita, e infatti, a parte una bustina di tè vecchia di mesi, in casa non c'era niente di commestibile. Così Alex scese al bar, salutò la barista che s'era rimorchiato tempo prima e con il suo tazzone di tè si mise a leggere.
Era strano passare la giornata seduti a un tavolo, veder passare le persone e sentirsi completamente distaccati dal mondo; immerso com'era nelle sue letture, Alex si sentì stranamente a suo agio, tranquillo e con la sensazione di fare la cosa giusta.
La telefonata con mamma Clara fu l'unica cosa di quella giornata che non cambiò affatto, se si esclude che questa volta il telefono venne preventivamente poggiato su un ripiano sicuro in modo da non cadere.

Verso l'ora di cena lo chiamò il Ghiro annunciandogli di tenersi libero per la serata.
"Guarda che lo so che è giovedì..senti, ma a casa di chi ci becchiamo stavolta?"
"No, vedi che non sai un cazzo!!Ma non t'hanno avvertito Rico e Stew?"
"Certo che mi hanno avvertito..questo infatti è proprio il tono di uno che sa cosa sta succedendo!Cretino!"
"Uffa, quei bastardi, e meno male che t'ho chiamato per gli appunti, sennò sai che fine facevi stasera!!Comunque, stasera, caro mio, siamo invitati a una festa a casa di Chicca, quella del secondo anno.Biondina, occhi chiari..gran culo!"
"Come una festa?E perchè?Io sta Chicca manco me la ricordo.."
"Questo perchè tu a lezione il venerdì mattina dormi"
"Bhe cosa dovrei fare?Prendere appunti?"
"No, guardare il culo di Chicca!Che, se non lo sai, è universalmente riconosciuto come il più bel paio di chiappe che mai abbia incantato e deliziato noi poveri mortali!"
"Si, vabbhè. Ma sta festa per che motivo la fa?E poi dove?"
"Il motivo non lo so, credo perchè ha l'appartamento libero. Sai che sta con due coinquiline pallosissime?!Bhe a quanto ne so le mummie sono partite e lei ha casa libera per qualche giorno."
"Si, ma noi,dico..cioè, come ci siamo finiti a essere invitati?Di solito non ci imbuchiamo?"
"Regolare!Ma questa volta siamo invitati a tutti gli effetti. E la cosa più importante sai qual'è?La cosa più importante è che ci sarà anche una certa Susy!Adesso che mi dici, sei dei nostri?"
"Come c'è Susy?Ma chi te l'ha detto?Certo che ci sono!Oddio...però..Merda e che le dico?"
"Ehi amico, tu intanto pensa a portare il tuo culo pesante a casa mia per le dieci e mezza, compra qualche birra e poi pensiamo alla strategia migliore!"
"Ok, a dopo!"
La notizia era insieme terribile e eccezionale; non vedeva Susy da lunedì e già s'era immaginato come avrebbe fatto per sparare il primo colpo. Certo non era preparato al massimo, ma c'era ancora tempo e poi, dopotutto, mica doveva provarci subito.
No.
Prima l'avrebbe avvicinata cercando di non fare battute idiote e facendo in modo che lei non lo odiasse. Se riusciva a parlarci da solo per almeno una mezzora, venti minuti, sicuramente la prossima volta avrebbe avuto più opportunità.
Appunti per la serata:
-maglietta dei Clash da lavare
-finire di leggere il libro di storia della letteratura
-MAI, e poi MAI menzionare le seguenti cose:
a)i poeti moderni
b)Baudelaire o qualsiasi riferimento a quell'infausto episodio che l'aveva portato all'attuale disperata situazione
c)qualsiasi altra stronzata che di solito gli usciva dalla bocca.

giovedì 18 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Due.

La settimana tipo era cominciata, e niente avrebbe potuto invertire il corso di quei giorni ormai immutati da due anni.
Niente.
O quasi.

La Settimana di Alex:
-Lunedì: lezione la mattina. Sparare una serie di stronzate in classe sperando nella clemenza divina il giorno dell'esame. Era più forte di lui!
-Martedì: lezione il pomeriggio. Palestra la sera. Canna prima di andare a dormire.Fondamentalmente un giorno vuoto.
-Mercoledì: niente lezione. Riunione serale con gli amici. Chiacchiere e bevute.
-Giovedì: fotocopia del giorno precedente, salvo per la fatidica telefonata a mamma Clara. (Note alla telefonata: Ricordarsi di appoggiare la cornetta del telefono in modo che non cada, altrimenti mamma Clara sente il rumore e capisce che ho "abbandonato la discussione".)
-Venerdì: lezione mattina e primo pomeriggio. Giornataccia! A casa, ripulire il lerciume per sabato e comprare scatola di preservativi. Aperitivo. Appuntamento allo Scacco ore 18.30
-Sabato: rientro dall'aperitivo del giorno prima. Lunga dormita. Punta con gli amici. Se capita una a scelta tra le seguenti attività: a)discoteca, b)pub, c)cinema,d)rimorchiare una o più tipe e portarsela a casa.
-Domenica: nessuna attività cerebrale registrabile.

Martedì pomeriggio ore 18.30
Alex aveva aspettato Gigio un po' troppo per i suoi gusti, ma alla fine era riuscito a strappargli un po' più erba del solito. A casa non c'era nessuno, così dopo la palestra si sarebbe fumato il suo spino in santa pace. Magari avrebbe pensato all'assistente. Magari no.
Quand'era arrivato quasi alla fine e il fumo aleggiava vivo nella stanza, Alex si sentì addosso una sensazione che prima non aveva mai provato. Era vagamente triste, riflessivo forse. Allora, visto che il sonno l'aveva messo in standby, si mise a leggere. Doveva ripassare Baudelaire, il giorno dopo era Mercoledì, c'era la riunione.

Mercoledì sera sera ore 20.00
Casa di Rico era sempre il posto migliore per le rimpatriate perchè lui ormai viveva con la sorella. E perchè la sorella si portava a casa delle amiche da togliere il fiato quanto i pantaloni.
La cena consisteva solitamente in pizza e birra.
In alternativa solo birra.
Il momento topico di quegli incontri non si svolgeva a tavola. Capitava spesso che, quando il tasso alcolico poteva stendere un gigante, il gruppetto si mettesse a farneticare di assurdità. E questa era una di quelle sere.
Alex aveva cominciato ad andare fuori di giri verso l'una, cercando di usare come cavatappi un temperino di metallo.

"Oh cacchio..ma se ci infilo il dito, cioè, secondo voi che succede?"
"Sai dove lo devi infilare quel dito del cazzo?Lo sai o no?" Rico cominciava a sfottere Alex, il suo sport preferito da quando erano piccoli.
"Ragazzi, a proposito di dita...anzi, di mani", Stew si alzò in piedi con la bottiglia mezza vuota, "Ma voi, quando scopate, con quale mano toccate le chiappe?"
Alex lo guardò interrogativo. "Non capisco cosa intendi..voglio dire.."
"Ehi, io le chiappe non me le tocco!"
"No Rico, Stew voleva dire con quale mani agganci il culo della fortunata di turno. Giusto Stew?"
"Si, credo che più o meno volevo dire quello. Bravo Ghiro!" Stew s'avvicinò al Ghiro,sdraiato sul letto a fumare una sigaretta, e gli diede una pacca sulla spalla.
"Bhe, io..io non ci ho mai pensato. Ma perchè, cambia qualcosa?" Alex era deciso a capirne di più.
"Come? No, se cambia qualcosa e viene fuori che ho usato per anni la mano sbagliata..." Rico era diventato di un colore strano.

Ore 3.00
"Bha, secondo me, comunque, la devi smettere di usare il vecchio trucco.."
"Ma guarda che non è un trucco."
"Vabbhè, Alex, ma si vede che non funziona più, trucco o no che sia.."
"No senti, la scorsa settimana ha funzionato e io credo che forse.."
"Ah, la scorsa settimana!! Bhe, chi era la vittima?La conosciamo?"
"No, non la conoscete. è una che lavora al bar sotto casa."
"Cioè, ti sei rimorchiato la barista?Ah cavolo, sei messo male!"
"Ma perchè, che c'hanno le bariste che non va?"Rico non capiva.
"Bhe, Rico, se il caro Alex vuole dimostrare a se stesso e a noi che il vecchio trucco funziona ancora, è ovvio che non può provarci con una barista..!" Il Ghiro si risvegliò in quel momento dal coma. "E sai perchè non può farlo?"
"Senti non farmi giochetti che ci metto un secondo a mandarti in orbita!"
"Non può farlo perchè è ovviamente ovvio che una barista a cui parli del caro Baudelaire si senta affascinata da parole che mai aveva sentito prima e che quindi ti apra il portone con più facilità e senza farlo cigolare!"
"Aspetta, vuoi dire che Alex usa lubrificante per portoni?Cazzo mi fai confondere!"
"Seriamente, io credo che funzioni ancora. Comunque, anche se fosse è inutile, perchè con Susy non funziona, e non ha funzionato! Devo trovare un'altro modo.."
La discussione proseguì animatamente e mentre Rico sprofondava nel sonno più profondo, il Ghiro prendeva dava ripetizioni a Stew, facendogli vedere esattamente come doveva essere praticato il vecchio trucco.
Alex, invece, stava lì, a guardare quei suoi amici che non avevano problemi e che felici lo inondavano di birra per alleviargli le pene.
Ma, come diceva sempre il Ghiro, le cose se non vanno dritte vanno di lato, quindi lui doveva solo fare in modo che cambiassero tragitto.
E così avrebbe fatto.

Era ovvio, quindi, che quella non sarebbe affatto stata la settimana tipo che si aspettavano.

mercoledì 17 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Presentazioni



Da piccolo Alex veniva definito un bel bimbo paffuto. Era tondo come un cocomero; mamma Clara gli metteva sempre vestitini verdi perchè le piaceva il colore. Però col tempo le cose cambiano.
A 15 anni Alex era un perfetto idiota. Apparecchio e cuffie sempre accese. Capelli in fase di crescita, un poster di Kurt Cobain mezzo rotto e qualche poster di modelle mezze nude. La mamma Clara diceva che erano irrispettosi. Alex, quei seni rotondi e quelle chiappe sode, invece, li trovava confortevoli. Ovviamente,non si sentiva per niente a suo agio con le ragazze della sua scuola. Sembrava sempre che ne sapessero una più del diavolo, mentre erano lì che camminavano nel corridoio.
Insomma,per farla breve, Alex era uno sfigato senza rimedio. Così si era arreso,anzi, in verità non aveva mai combattuto. Sapeva che tutto ciò faceva parte di quella misteriosa fase che è l'adolescenza. Il padre gliel'aveva detto: "Non pensare mai alla tua insegnante come a un oggetto sessuale. Io l'ho fatto, e mi s'è indurito così tanto che mi sono dovuto prendere a pugni sulle palle per farlo ammosciare!! Mi raccomando, mai pensare!"
E Alex gli aveva dato retta. Non pensava lui, non pensava mai a nulla. Ma, come ogni cosa, anche quello era un periodo destinato a finire.
All'epoca, Alex raccontò l'episodio all'infinito. Adesso, a ripensarci, non gli sembrava niente di eccezionale l'essersi fatto una del primo anno nel bagno delle ragazze, lui, il re degli sfigati che ormai si avviava verso quel mondo fatto di adulti monocolore.
Ma Alex aveva imparato dai suoi errori.
Era uno furbo lui, uno intelligente quanto basta per capire che un sorriso, una mano sul culo e un'altra con un vodka-martini pronto per essere offerto bastavano a far sciogliere qualsiasi inibizione.
Le ragazze cominciarono ad apprezzare quel suo sorriso vagmente malvagio, quella giacca di velluto ormai consumato; insomma, Alex finalmente s'era trovato la sua identità. Si, perchè lui mica si chamava così; mamma Clara l'aveva chiamato Ernesto e ogni volta il coro s'alzava:"Coglione destro, dov'è che hai lasciato Evaristo e Pasquale?". Alex, invece, gli piaceva e poi, ormai cell'aveva da troppo tempo.

"Mi sono rotto, basta, odio il mio nome!Devo fare qualcosa..."
"Si, quando sei "grosso" abbastanza vai e fattelo cambiare in Pasquale, voglio dire..la mazza centrale!", Rico lo continuava a prendere in giro sparpagliando cenere sulla coperta del suo letto.
"E smettila! Cazzo, dico sul serio. Ho deciso che mi farò chiamare Alex."
"E perchè, di grazia?"
"Come perchè? Perchè Ernesto è un nome di merda!è più vecchio di mio nonno che è del '12!!"
"Tuo nonno è del 12?! Cavolo, che ficata!"
"Ma chissenefrega di mio nonno adesso.."
"Senti, ma quindi tu se ti chiedono perchè ti fai chiamare così..che rispondi?" Rico lo guardò enigmatico.
"è ovvio. Gli rispondo che mi chiamo come quello di Arancia Meccanica!Vuoi mettere, questa si che è una ficata!!"
"Ma te dici il libro o il film?"
"Ma perchè, esiste pure il libro?"
"Bhe, mi pare di si..oh, ma io chennesooo!"
"Cioè, aspetta un attimo.."
"Ma che palle!Che c'è?"
"Ma..voglio dire, mica si chiamerà in un'altro modo quello del libro?No perchè se l'autore gli ha cambiato il nome, oh, giuro che lo gonfio!"

E così, trovata l'identità nuova, trovato un mondo nuovo.
Alex adesso è cresciuto, ha letto Arancia Meccanica e tante altre cose, e gira tutti i locali più assurdi della città con il suo fedelissimo gruppo di amici, nonchè compagni di casa e università, alla ricerca non del Tempo Perduto, ma dell'Amor Perduto, che, come gli insegnava il prete da piccolo, non va mai disperso n'è seminato in campi altrui!

La battaglia di Alex. Capitolo Uno.



Lunedì mattina ore 9.30
L'aula era piena, come al solito la gente stava seduta per terra, i banchi e le sedie non bastavano.
Là in seconda fila c'era Lei; perfetta come sempre. Alex la guardava mentre sfogliava gli appunti e ascoltava distrattamente la compagna seduta a fianco che, con ogni probabilità, le stava raccontando del solito ragazzo con cui (non) era stata la notte prima. Alex non capiva perchè le donne a volte esageravano con queste cazzate sugli incontri di una notte. Tanto non ci credeva nessuno. "Se Bea fosse una gnocca pazzesca potrei capirla, allora si che avrebbe chiunque!" Ma a questa idilliaca possibilità mancavano almeno 20 chili di meno e un parrucchiere decente che le sistemasse quel cespuglio biondastro che aveva in testa.
Alex si accontentò di un posto in fondo all'aula, seduto per terra, vicino a un ragazzo grassoccio e unticcio. Non gliene fregava niente di seguire la lezione di Letteratura del Novecento; a chi interessava delle vite di quei poveracci che dopo la seconda guerra mondiale avevano vissuto una qualche crisi d'identità e non si sentivano più parte di niente?
No, ad Alex interessava solo vedere Lei. Certo, sapeva che di possibilità non ne aveva nemmeno l'ombra, e che la carta buona l'aveva sprecata il primo anno,quando aveva offeso i poeti moderni cercando di spiegare che rime e allitterazioni e tutta quella robaccia, quelle si che erano creazioni artistiche!
"Che idiota! Mah, il caro Baudelaire sembra passato di moda! E dire che di solito ci cascano tutte; comunque, prima o poi il modo di portarmela a letto lo trovo! E allora vedremo che ne pensa di quel melenso francese del cazzo!"
Il povero Alex, però, ultimamente stava attraversando una fase di abbandono dei sentimenti di vendetta. I motivi potevano erano tanti. L'inizio dei corsi, gli esami, o forse la nuova assistente del Lunedì mattina. Eh si, quella si che era una professoressa! Preparata, allegra, giovane, occhiali, capelli raccolti, magliette scollate, lungo stacco di coscia...No, frena!Non poteva farlo, nà tantomeno pensarlo, perchè l'assistente di sicuro non sapeva neanche chi fosse, in mezzo a quel centinaio di persone. E poi se fosse finita in quel modo, cosa ne avrebbe pensato la sostenitrice del verso sciolto?La notizia si sarebbe sparsa troppo in fretta; no, doveva giocare d'astuzia, doveva abbandonarsi completamente all'idea di fare il bravo ragazzo. Due, forse tre mesi, e Susy sarebbe crollata.
Armi scelte per l'allenamento:
-un manuale di storia della Letteratura inglese
-una raccolta delle poesie d'amore più famose del mondo
-una rapida lettura alla critica sulla Austen
-una sana sbronza prima di sferrare il primo colpo!
Scarabocchiò una breve lista e quando la Prof.ssa Magli entrò in classe cercò di non pensare a quali problemi mentali avesse Joyce. Poi, in fondo, cosa c'era di originale in un idiota che vaga per Dublino? E soprattutto, oltre al fatto che tanto nessuno lo leggeva mai tutto, perchè quel dannato libro si intitolava Ulisse se il protagonista di nome fa Leopold Bloom?Forse, come suggerì qualche istante dopo, il detto protagonista era solo uno sfigato che non scopa con la moglie da una vita, proprio come Ulisse, che se ne va in giro per il mondo e abbandona la povera Penelope alla masturbazione, altro che tessitura!
Si.L'aveva fatto di nuovo.Bocciatura assicurata!
Era assolutamente necessario cominciare l'allenamento, altrimenti l'unica battaglia sarebbe stata quella per un 18 il giorno dell'esame.

sabato 13 ottobre 2007


Oggi posto questo racconto che ho scritto un po' di tempo fa, perdonatemi se è un po' lungo e tristarello...Non che sia bellissimo, ma tenerlo chiuso in una cartella del pc mi pare inutile...Com'è probabilmente inutile il fatto che io l'abbia scritto...Non so neanche più se mi piace,ma voglio farlo parlare comunque, di sicuro vi posso dire che ho cambiato il finale. Era troppo triste e sinceramente troppo sbrigativo!


L'uomo del Tram

Era un mattino sottile, stiracchiato tra le nuvole sobriamente disposte in cielo.
Il tram arrivò in ritardo di dieci minuti; era affollato, pieno di mattinieri lavoratori. L’odore del freddo era quasi impercettibile, lo si ritrovava solo nei giacconi consunti dei passeggeri. La strada scivolava veloce dai finestrini: case, alberi, visi, negozi, macchine. I passeggeri scendevano silenziosi, a mucchi, anime in processione verso la fine della vita. Poi, all’improvviso, T. lo vide: l’uomo era come assopito dal torpore della folla, stava seduto con un’aria assorta in pensieri complicati, ramificati.
Aveva tra le mani delle buste e un paio di fogliacci che erano evidentemente usati perché s’intravedevano righe d’inchiostro scritte con una calligrafia indefinibile. Indossava degli scarponi marroni infangati e consumati, senza lacci e logorati dal tempo. ‘Che sia un barbone?’ No, non poteva essere un barbone, non c’erano tracce di bottiglie mezze vuote, né quell’alone d’ebbrezza e dimenticanza che li accompagna di solito. No.
L’uomo sembrava provenire da un altro mondo, era diverso, ma non si poteva dire in cosa o perché; sembrava quasi evanescente, nei bagliori dei finestrini. La luce pareva carezzarlo e volerlo nascondere a occhi indiscreti, come fosse un figlio perduto da tempo e ora ritrovato.
Il tram era ripartito già da un po’, aveva fatto altre fermate, ma l’uomo era rimasto seduto. Per tutto il tempo la testa era rimasta china e non se ne capivano i motivi. Non un solo muscolo s’era mosso, persino il respiro era impercettibile, come se a lui non servisse ossigeno per vivere, che i morti non ne hanno bisogni. Forse era questo, forse era morto e nessuno, intorno, l’aveva capito. O magari era semplicemente un poveruomo che si prendeva una pausa dalla vita.
In lui, però, c’era qualcosa, una specie di incanto, di magia, una magica poesia che talvolta si ritrova nei volti degli sconosciuti. Il viso dell’uomo, tuttavia, era appena visibile da sotto uno strambo cappello, così ampio da lasciar scoperto solo il mento. Era un bel mento, aveva di certo molto da raccontare e senza dubbio aveva viaggiato molto, ma allora com’era possibile che ora stava in bilico tra la vita e il sonno su una poltrona lurida d’un tram?
Ipotesi se ne potevano fare tante, troppe, così, come succede in questi casi, T. decise di non voler indagare, e di continuare a fantasticare su quel buffo signore che, raggomitolato come un gatto, riposava in pace in fondo al tram.
Era quasi arrivato a destinazione, mancavano solo cinque fermate, e il tempo non sarebbe affatto bastato a fargli scegliere se rinunciare a scoprire chi fosse l’uomo o se svegliarlo e almeno vederlo in faccia. T. non aveva tempo e invidiava quel tipo che poteva girare tutto il giorno senza preoccuparsi degli orari, godendosi il lento ronzio del motore del tram, la gente che mormora mentre aspetta di scendere, la strada che scorre sotto. Decise di scendere senza svegliarlo, pensò che forse era così che doveva andare, che se ci avrebbe dovuto parlare allora l’avrebbe incontrato quand’era sveglio.
Per tutto il giorno, a lavoro, T. non fece che pensare all’uomo del tram. Non capiva come mai quell’immagine l’avesse colpito così tanto.
La giornata, difficile e faticosa, passò lenta ma indolore, d’altra parte T. faceva uno di quei lavori che dopo un anno già cominci a odiare, e lui, infatti, lo odiava. E odiava se stesso per aver scelto la strada più semplice e aver accettato di chiudersi per 10 ore al giorno in un palazzo asettico e freddo, dove anche la pausa caffè era un’applicazione di buone maniere. Ripensava spesso a quando, da ragazzo, avrebbe voluto girare il mondo; tutti vogliono farlo, ma solo alcuni lo fanno davvero. Era un’idea che ogni tanto gli tornava in mente, ma ci sarebbe voluto un vero incantesimo per smuoverlo dall’ingranaggio in cui s’era incastrato, e lui non aveva più le forze per uscirne da solo. Ma, tutto sommato, T. non era così infelice, a volte riusciva ancora a sorridere e a immaginare, fantasticare, ed era proprio quello che gli era capitato quella mattina sul tram.
Il tram.
Di nuovo pensò a quell’uomo, e sorrise.
La sera avrebbe dovuto prendere di nuovo il tram e così si domandò se l’avrebbe incontrato ancora. Uscì felice e quasi eccitato dal palazzo e arrivò alla fermata. Quando in lontananza vide arrivare il tram, decise che questa volta avrebbe svegliato l’uomo, ci avrebbe parlato e magari gli avrebbe offerto un caffè, o un tè caldo in qualche caffetteria.
Forse avrebbe scoperto che quel tipo era uno che viaggiava in giro per il mondo e avrebbe deciso di partire con lui, finalmente, e di lasciarsi tutto alle spalle perché, lo sapeva, era l’unica cosa giusta da fare. Giusta per lui.
Il tram si fermò e T. cercò l’uomo in vano: il sedile era vuoto e di lui non c’erano tracce.
Sorridendo per aver pensato di poterlo incontrare di nuovo, si sedette e aspettò di tornare a casa, ancora una volta, come ogni giorno.
Ma qualcosa era cambiato, i giorni seguenti T. sperò di incontrare ancora l’uomo del tram e ogni volta che saliva i gradini e non lo vedeva si sentiva strano, un misto tra il felice e il depresso. Pareva quasi che quella fosse stata davvero un’apparizione e T. cominciò a pensare che l’uomo fosse un presagio, che volesse dirgli qualcosa, ma non seppe cosa finché, una mattina che pioveva a dirotto, il tram passò, con il solito ritardo.
La folla salì. La folla scese.
Ma T. quella mattina era in ritardo, cominciò a correre e ce l'avrebbe fatta perchè il tram era ancora fermo. All'improvviso lo vide.
L'uomo del tram era lì, dall'altra parte della strada che guardava la folla correre contro il tempo. Sorrise e poi si voltò, con quello strano cappello sempre calato sulla testa.
T. lo guardò, e improvvisamente il tram ripartì, carico dei dannati da portare ai loro gironi infernali. Così T capì che non doveva più correre e che l'uomo del tram non lo avrebbe mai più rivisto.
Dall'altra parte della strada, ora, c'era solo un cane che zampettava sul bordo del marciapiede.

venerdì 12 ottobre 2007

Salinas, Presagios

L'anno scorso ho avuto il piacere di fare una tesina su Pedro Salinas, poeta spagnolo dei primi del Novecento.
Su Internet si ha la fortuna di trovare molte notizie, spesso molti testi. Ma questa raccolta, Presagios, risalente al 1923, non è tra le più conosciute. Personalmente l'ho trovata di una bellezza disarmante.

Acqua calma e fresca. Apro la porta con questa poesia, seguita da una traduzione di Guazzelli con cui ho fatto alcuni paragoni nelle note della mia versione.

42
En la tierra seca
el alma del viento
avisos marinos me daba
con los labios trémulos
de chopos de estío.
Alientos de mar
y ansias de periplo,
quilla, proa, estela,
Circe y vellocino,
todo lo mentían
chopos sabidores
de la tierra seca.
Y una nube blanca
(una vela blanca)
en el horizonte,
con gestos de lino,
alardes de fuga
por rumbos queridos
hacía
en el mar sin viento
de aquel cielo seco
de la tierra seca
con chopos de estío.

Nella terra secca
l’anima del vento
segnali marini mi dava
con le labbra tremanti
di pioppi d'estate.
Sospiri
[1] di mare
e ansie di viaggio[2],
chiglia, prua, scia,
Circe e il vello,
su tutto mentivano
i pioppi saggi[3]
della terra secca.
E una nube bianca
(una vela bianca)
all’orizzonte,con movenze[4] di lino,
ostenta[5] la fuga
per amabili rotte
faceva
nel mare senza vento
di quel cielo secco
della terra secca
con pioppi d’estate.

[1] Alientos, cioè aliti, respiri, sospiri. Guazzelli sceglie di mantenere la traduzione più letteraria e sceglie aliti; io ho preferito sospiri
[2] Periplo, perielio, viaggio, periplo. Guazzelli mantiene periplo mentre io ho preferito il termine viaggio perché si allude all’ansia di partire. Il numero di sillabe, nell’originale sei, risulta essere di sette.
[3] Sabidores, cioè sapienti, saggi. Guazzelli opta per la prima soluzione, mentre io ho preferito la seconda, a mio avviso più poetica.
[4] Gestos, cioè gesti, movenze, movimenti. Guazzelli sceglie di tradurre gesti, più vicino al testo originale. Io ho preferito movenze poiché mi sembrava più elegante.
[5] Alardes, ostentazioni. Ho preferito tradurre ostenta per avvicinarmi di più al numero di sillabe, sei.


Così, invece, traduceva il citato e bravo Guazzelli.

Nella terra secca
l’anima del vento
segnali marini mi dava
con le labbra tremule

dei pioppi d’estate.
Aliti di mare
e ansie di periplo,
chiglia, prora, scia,
Circe e il vello,
in tutto mentivano
i pioppi sapienti
della terra secca.
E una nube bianca
(una vela bianca)
nell’orizzonte,
con gesti di lino,
ostentazioni di fuga
per rotte amate
faceva
nel mare senza vento
di quel cielo secco
della terra secca
con pioppi d’estate.

Schegge

Quando mi va di descrivere senza ... scrivere!

Enjoy!
(Dunluce Castle, Irlanda del Nord. Estate 2007)


(Dundrum Castle, Irlanda. Estate 2007)


(Gatto a MonasterBoice, Irlanda. Estate 2007)


(Lia Fail, Hills of Tara, Irland. Estate 2006)


(Rovine di una chiesa abbandonata, da qualche parte in Irlanda. Estate 2006)


(St. Stephen Green, Dublin, Ireland, Estate 2006)

"Insomma, lo facciamo sul serio?", BJ alzò lo sguardo incuriosito.
"Senti, se non ti regge, puoi sempre lasciar perdere...', rispose ingrugnito lo Smilzo.
"Però pensaci bene, ormai siamo pronti, la cosa si può fare con tranquillità..In fondo se non cominciamo mai..."
BJ rigirò il leccalecca ancora chiuso tra le dita. Gusto banana.
"Va bene, ci sto!Dimmi dove e quando. Ci vedremo lì"
Lo Smilzo diede una sonora pacca sulla spalla dell'amico e gli diede l'appuntamento.
Ore 19.00, davanti al negozio di dolci e caramelle su via del Corso. Lo conosci? BJ lo conosceva, qualche anno prima aveva avuto un'intossicazione alimentare per colpa di troppe caramelle a forma di banana, che aveva ingurgitato nel giro di venti minuti proprio davanti a quel negozio.
Erano cresciuti insieme. Si conoscevano da sempre BJ e lo Smilzo. S'erano scelti loro i soprannomi; i veri nomi non li dicevano mai a nessuno e quando le rispettive nonne gli facevano visita la domenica a pranzo, odiavano essere strattonati come bambolotti. "Carletto, nipotino mio!" e BJ nel frattempo cercava di dimenarsi da quella tenace morsa che era l'abbraccio di Nonna Rosa. Lo stesso valeva per lo Smilzo. Anche sua nonna si chiamava Rosa, ma era il diminutivo di Rosalinda.
I pranzi della domenica, però, non erano solo torture gratuite di baci e abbracci, erano il momento in cui le nonne donavano. Regalavano amore e coccole, ma regalavano anche "soldini per i loro nipotini". Mica male come compromesso.
Nonna Rosa, la nonna dello Smilzo, era morta il mese prima. I genitori non gli avevano spiegato bene per quale motivo, in fondo aveva solo 13 anni ed era ancora troppo piccolo. Ma Mattia, che si faceva chiamare lo Smilzo, aveva capito che di regali da sua nonna non ne avrebbe più avuti. Nè avrebbe più avuto le sue coccole in formato pressa.
Rubare. Se non aveva i soldi si sarebbe preso quello che voleva così. E poi lo facevano tutti. I grandi, i piccoli, i loro amici.
Non avrebbero svaligiato certo una banca o la posta, lo Smilzo sapeva bene che dovevano puntare a qualcosa di più innocente, qualcosa di cui poter far sparire le prove in fretta e senza destare sospetti.
Erano le 19.05, BJ era in ritardo.
Lo Smilzo lo vide arrancare tra la folla, la bicicletta sgangherata. Doveva aver avuto un qualche tipo di incidente. BJ disse no, nessun incidente. Ma il padre, mentre faceva retromarcia nel Box auto, aveva spiaccicato la sua bici contro il muro e si era ammaccata.
In strada c'era parecchia gente, era sabato pomeriggio.
"Come facciamo a filarcela in fretta con tutte queste persone?E se mettiamo sotto qualcuno?"
"BJ, che palle! Insomma, muovi il tuo culone e seguimi, vedrai che ce la facciamo!E poi come si fa a mettere sotto qualcuno con una bicicletta!!?"
Dieci minuti dopo, Lo Smilzo uscì trafelato dal negozietto, con in mano un grosso pacchetto pieno di caramelle, alle sue spalle, vide BJ che sgomitava tra i clienti.
"BJ muoviti!Accidenti!"
"Arrivo arrivo!"
"Ehi, ehm, ragazzo, mi fai vedere lo scontrino per favore?!"
Oh merda! BJ si fiondò fuori dal negozio ed era appena salito sulla sua bicicletta quando lo Smilzo gli gridò dietro
"Ehi, BJ, l'hai preso il ciuccio?"
"Il ciuccio?Oh dico, questo mi sa che ci ha beccato e tu pensi al ciuccio?"
"Cacchio BJ, adesso torni dentro e prendi quel cavolo di ciuccio! Te l'avevo detto, il ciuccio è fondamentale!!Almeno uno a testa!Corri muoviti!"
Due secondi dopo, BJ usciva dal negozio di corsa,un ciuccio gelatinoso in bocca e un'altro nella mano sinistra, col negoziante che aveva cominciato a gridare di fermarli a qualcuno non ben precisato I due inforcarono le biciclette e via di corsa verso la metropolitana. Il negoziante gli correva dietro lanciandogli appresso barattoli di plastica vuoti. I ragazzini, però, avevano imboccato una delle viuzze laterali ed erano spariti sulle loro bicliclette.
Ciuccio in bocca, i due ce l'avevano fatta.
La loro prima rapina! Niente soldi, ma la sensazione che provarono quando finalmente si fermarono a riposare, fu identica alla stretta dell'abbraccio di nonna Rosa.
Dolce come il ciuccio rubato!

giovedì 11 ottobre 2007

Shakespeare, Romeo e Giulietta..e Giovanni Bivona!

Di teorie sulla sua vita ce ne stanno a bizzeffe. La più accreditata è quella che ci insegnano a scuola, o all'Università. Oppure se prendiamo in mano una buona bigrafia della sua vita.
Ma la verità è che non si sa tutto. E la cosa divertente è scoprire teorie come la vaga ipotesi che fosse una donna. Eh si, perchè si sente anche di questo. C'è chi, leggendo i suoi sonetti e arrivando a quell'incriminato HE, c'è chi ha cominciato a domandarsi anche se l'identità sessuale del vate inglese sia accreditabile o meno. Certo, l'idea che potesse essere una donna sembra bellla...Ma allora cosa capiamo quando poi si arriva a leggere quell'altrettanto famoso sonetto sulla mitica Dark Lady?Oh Mio Dio! Shakespeare che era donna era anche lesbica? Bha...Preferivo rimanere all'ipotesi vaga di omosessualità (ma non era sposato con una cosa tipo otto figli?), oppure a quella più da cronaca nera che vedeva nella morte di Marlowe, drammaturgo contemporaneo a Shakespeare e spia della Casa Reale, la nascita del personaggio Shakespeare.
Sta di fatto che qualcuno ha scoperto una verità su di lui, o meglio, ha scoperto cosa voleva veramente dirci quando ha scritto Romeo e Giulietta!
Io ne sono rimasta illuminata a dir poco!!! Grazie Bivona!
Godetevela!
PS Ringrazio Il Branda che ha postato questo video sul nostro Forum!

To be or not to be. That is the question!


Essere o non Essere.

La conosciamo tutti!!!

In questo strano blog, ho deciso di non infilarci solo piccoli racconti, o poesie, o chiacchiere; ho pensato di lasciare un piccolo spazio anche ad alcune traduzioni. Non so ancora cosa ne verrà fuori, ma spero che vi piacciano!Apro la porta con il primo dei sonetti del caro zio Willy!E premetto che ne seguiranno anche altri!


Enjoy!

1
From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty’s rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory:
But thou, contracted to thine own bright eyes,
Feedst thy light’s flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.
Thou that art now the world’s fresh ornament,
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, makst waste in niggarding.

Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world’s due, by the grave and thee.

(Dall'edizione della Arden, Shakespeare' Sonnets)

Dalle più belle creature desideriamo accrescimento[1],
Così che tal bellezza della rosa mai non muoia,
Ma come il frutto con il tempo marcisce
[2]
Il suo tenero erede ne conservi memoria:
Ma tu, legata ai tuoi occhi luminosi,
Ammansisci la fiamma col tuo fluido,
Mietendo carestia dove abbondanza giace,
Nemico a te stesso, troppo crudele al tuo dolce io.
Tu che ora del mondo sei fresco ornamento,
E unico messaggero della gaia primavera,
Nel tuo germoglio seppellisci te stesso,
E, tenero avaro, fai spreco in avarizia.

Compatisci il mondo, o così ingordo sarai,
Da divorar ciò che, con te e la tua fossa, gli dovrai.


[1] Il verbo “increase”, che significa riproduzione, è stato qui tradotto come “accrescimento” poiché ci sembrava mantenere meglio non solo il significato, ma anche la metrica.
[2] Il verbo “decease”, che significa decadere, putrefarsi, è stato tradotto con “marcisce” in riferimento all’idea del frutto, che appunto marcisce, muore.


(Foto, Libreria Shakespeariana, Parigi, Notre Dame.)

mercoledì 10 ottobre 2007

Kiwi


Si chiamava Kiwi.
O almeno così la chiamavo io. Io il suo nome vero non me lo ricordo, ma Kiwi mi piace.
Sa di verde. E di qualcosa di vagamente esotico.
Lei non era affatto verde; vestiva di nero e viola, ed era bianca come un cadavere, come in quei film dove ci sono cadaveri.
Aveva un impermeabile con dei grossi bottoni e una cinta; le stava male, l'allungava come una giraffa e la faceva sembrare una sottile ombra addensata non si sa in quale modo.
Ricordava vagamente l'ombra di Peter Pan, quella del cartone Disney.
Da piccola mi piaceva, ora non mi piace più.

Kiwi aveva queste scarpette tipo ballerina, come vanno adesso; anche quelle nere. Con un bordino bianco tutt'intorno.
Una canottiera viola acceso che le risaltava il pallore della pelle.
Non aveva molto seno, era magra come un manico di scopa. A dire il vero, Kiwi sembrava un manico di scopa. Con quei capelli lunghi e rovinati da troppi lavaggi, la frangetta appiccicata sulla fronte e tutta storta.

Ma Kiwi, di cui no ricordo il nome, si chiamava così per una pura casualità e quella sensazione di esotismo che si nasconde dietro il nome, lei se la portava dietro, da paesi lontani.
Viaggi?
Forse.
Kiwi veniva da quella parte di mondo che non è di nessuno, era figlia dei tempi moderni, certo, ma in lei si manteneva vivo quel senso di libertà che tutti cerchiamo, disperatamente.
Kiwi lavorava per un qualche ente artistico, o che si occupava d'arte. Se fosse stata ricca, avrebbe comprato certo uno di quei quadri che tutti conosciamo, uno di quelli di cui abbiamo la stampa, pagata 20 euro, attaccata in casa.

Kiwi Carota.
Un nome buffo. Il suo nome buffo.
Quel giorno eravamo frastornati ma lei sembrava la più calma. Pareva attendere il momento in cui qualcosa di diverso sarebbe accaduto. Un po' come il kiwi aspetta di essere mangiato una volta raccolto.

Non ricordo come si chiamasse veramente, ma Kiwi Carota aveva qualcosa che nessuno di noi, in quella stanzetta, poteva capire.
Kiwi Carota era l'immagine esotica e un po' distorta di un sogno fatto tante notti prima.

Spero di sognarla ancora, la mia Kiwi Carota.

martedì 9 ottobre 2007

Fili d'Erba


Ancora pochi passi e sarebbe arrivato al punto più alto del promontorio.
Colin, sigaretta tra le labbra, giacca in spalla, procedeva lento su per la salita.
Il panorama, già da qualche minuto, s'era fatto più ampio e si poteva vedere la città in lontananza. C'era ancora luce, nonostante fosse pomeriggio inoltrato.
Mentre saliva, aveva incrociato una famigliola che stava invece scendendo, per tornare alla macchina. Colin pensò a quale tipo di casa potessero avere, sicuramente una villetta in uno di quei quartieri con le villette a schiera color mattone e la porta in legno verniciata di verde. Per un attimo, incrociando gli occhi del padre di famiglia, un signore giovane sui 35 40 anni, si sentì sollevato di non aver nessuno a cui pensare.
Adesso, ne era certo, il promontorio era tutto per lui, il paesaggio non lo avrebbe condiviso con nessun altro.

Aveva parcheggiato la macchina non troppo lontano e di proposito, visto che non era un posto molto frequentato a quell'ora, aveva lasciato i finestrini aperti e la radio accesa, così da poterla sentire una volta arrivato in cima. Adesso lo speaker raccontava di un nuovo ristorante molto chic aperto la settimana prima.
Mancavano ancora pochi metri.

La vista da lì era splendida, ora il cielo sembrava rame lavorato e dipinto a mano a tinte calde, rosa, rosso, e poi, laggiù, la città.
Somebody to love ruggeva dal finestrino della radio, espandendosi nell'aria.
Colin sentiva come una voce fantasma aleggiare intorno a lui.
'Qualcuno da amare', pensò. Qualcuno.
Già, ma chi? E soprattutto, perchè amare qualcuno che prima o poi sparira come spariscono e finiscono tutte le cose belle?

Era arrivato il momento.

Colin accese la sigaretta.
Ride the wild wind echeggiò con l'alzarsi della brezza fresca delle cinque di pomeriggio.
'Questa volta', pensò, 'Questa volta sono pronto, ce la farò.'

Passò distrattamente una mano tra i fili d'erba, annusò l'odore delle dita sporche di terra bagnata, annusò l'aria, si riempì i polmoni col fumo e lo sbuffò fuori facendo un cerchio piccolo ma perfettamente formato.

Mentre il sole calava, Colin stava sdraiato nel campo, a guardare le ente nuvole muoversi in una corsa millenaria.
La lettera sgusciò fuori dalla tasca della giacca, insieme alla pistola, un ferrovecchio di cui non sapeva nemmeno il nome, il tipo.
Si ricordò di quando col fratello lo trovarono nel campo del nonno, sotterrato vicino a un albero.

Allungò una mano e prese il ferro gelido al tatto.
Gelo.
Era la sensazione giusta.
Una morte rapida e gelida, in un nido caldo e pacifico, eterno.

Spenta la sigaretta, Colin bruciò una fotografia vecchia, quasi del tutto sbiadita; infilò per bene la lettera nella tasca della giacca, si alzò in piedi.

Il sole era quasi sparito ormai, e le luci della città stavano pian piano offuscando le stelle che di lì a poco sarebbero comparse in cielo.

Era libero ora.
Felice.
E il momento era finalmente arrivato.

Strappò una manciata di fili d'erba, li guardò e poi se li infilò in bocca, pensando 'Il mio ultimo pasto, la terra. Grazie.'

Bang.

Aprire

Aprire una porta può a volte risultare difficile.

Se state per aprire questa, devo avvertirvi.
Se pensate di trovare una traduzione di questa espressione avete sbagliato porta.
Se pensate di trovare un significato filosofico a questa espressione avete sbagliato porta.
Se pensate di trovare una rivelazione dietro questa porta avete sbagliato porta.

Siete stati avvisati.

Buona navigazione.

Ele