giovedì 20 dicembre 2007

Take a Glimpse!

Gocce.
Scivolano sulle guance di lei e di lui.
Quando stai a quella distanza, non hai voce.
"Adesso mi bacia."
"Che faccio, la bacio?."
"Oddio... Questo momento non lo sentirò MAI più!"
E nessuno mai l'ha più sentito.
Gocce di pioggia su di noi...

venerdì 14 dicembre 2007

La battaglia di Susy. Presentazioni

"Ho detto falla finita!Se mi chiami così ancora una volta giuro che te le dò!!"
"Io però sono la sorella maggiore, quindi faccio come mi pare!"
"No! Smettila! Non lo sopporto più!"
"Susanna tutta panna, Susanna tutta panna, Sus-"
Ciaf!

Susy non è mai stata carina, da piccola, o almeno lo è stata solo nei suoi primi mesi di vita. Sua sorella Chiara aveva 5 anni quando Susy venne al mondo e s'era impuntata a volerle dare lei il nome. Così, come è evidente, Chiara l'aveva chiamata Susanna proprio per via di quella pubblicità vecchia che adesso non si vede più e che a lei da piccola piaceva tanto.
Mamma Rosa trovò il nome carino anche se evocava epoche andate; si fece convincere soprattutto per via di quella canzone d'amore, Suzanne ma, orgogliosa com'era, non avrebbe mai potuto usare un nome straniero.
Susy era cresciuta in fretta, combattendo a denti stretti con la sorella Chiara. Quando il periodo adolescenziale l'aveva colta come un raffreddore invernale, invevitabilmente, Susy aveva smesso di parlare con Chiara perchè lei ancora la prendeva in giro per via di quel nome incorniciato nella polvere del tempo.
A scuola nessuno osava chiamarla Susanna, lei subito s'era fatta rispettare, urlando contro qualche compagno di classe dispettoso.
Infondo Susy poteva andare, era anche simpatico, non bello certo, ma allegro. Dovette così accontentarsi.
Se il nome non era una bellezza, per lei, il suo aspetto fisico era un disastro. Susy era un maschiaccio, giocava a pallone con i compagni, ascoltava musica tosta e andava in giro con i jeans strappati. Al liceo, per via di quella massa di capelli rossi lunghi lunghi, tutti la scansavano. "Le rosce puzzano", la frase più tipica tra i luoghi comuni. Lei però, con serafica indifferenza, trascorse i suoi cinque anni a non dar retta a quei cretini dei suoi compagni. Mamma Rosa la confortava, "Be', le rosse sono poche in giro, e poi sai cos'altro si dice? Si dice che siano focose!" Ma Susy, che ancora non capiva certi meccanismi, aveva rinunciato quasi subito ad ascoltare Mamma Rosa, e invece la torturava anno dopo anno con musiche assordanti, poster di gente morta, come diceva la sorella, e vestiti che non erano vestiti ma stracci.
Susy s'era chiusa nel suo mondo, un'ostrica che non vuole uscire dal guscio. O forse una lupa che ringhiava dal profondo della tana.
A scuola era brava, forse la più brava e col tempo la gente attorno a lei cominciò a rispettarla e finalmente smisero di prenderla in giro.

Il suo primo ricordo di un mondo nuovo risaliva alla terza liceo, una festa a casa di qualcuno, un brindisi con la sangria, uno sguardo fugace e poi il primo, umido, orrendo e stranissimo bacio.
Già, perchè Susy nel frattempo, era diventata alcquanto interessante; non solo era carina, ma la sua intelligenza e i suoi interessi erano qualcosa che si percepiva da subito, qualcosa di profondo, che le apparteneva e che nessuno le avrebbe mai portato via.

"Si, capito?"
"Che stronza tua sorella! Ma adesso?"
"Cosa?"
"Ci parli o no' che fine ha fatto?"
"Quando chiama, sta a Parigi studia e lavora. Mi sa che s'è trovato un francesino. Poveraccio."
"Vabe', iinvece te che mi dici di Gegio?"
"Gegio? figurati, uno con un nome così non si può nemmeno guardare! E comunque non si può guardare!"
"Mm, si hai ragione. Allora Vale? Dai Vale è fico!"
"Valerio è un nome che non m'è mai piaciuto."
"Ma che significa!"
"Significa che è un pò come diceva Oscar Wilde. Hai presente?"
"No."
"Ma si, come in quel pezzo di teatro, L'importanza di chiamarsi Ernesto, dove due ragazzi fanno finta di chiamarsi così solo per piacere alle loro innamorate."
"Ma Ernesto come il Che?"
"No, Ernesto come in quest'opera teatrale! Il che mica c'era!"
"Ah. Però Ernesto fa schifo come nome."
"No, manco troppo. Ha un suono importante, e poi voi mettere, con Susanna ci calza a pennello!"
"Ma io non conosco nessuno che si chiama così."
"Allora?"
"Allora come fai a metterti con uno che si chiama Ernesto?"
"Il punto è proprio questo. E' un nome poco comune, quindi farò come le due sceme di Oscar Wilde."
"Oscar non è male!"
"Oscar era un genio."

Così Susy aveva preso, tempo prima, una decisione sancita e messa per scritto, almeno in via teorica, davanti alla sua amica storica, Bea, che sta per Beatrice.
Il tempo non ritorna, certe storie rimangono lontano, diventano ricordo, poi leggenda.
Ma Susy ora era cresciuta e quei capelli rosso fuoco ancora le cadevano sulle spalle, in un rotolio capriccioso di intelligenza e arguzia, profumo e mistero, un intrigo degno delle rose più spinose, un caos costruito su libri e silenzi, su graffianti acuti di chitarra e lunghe boccate di fumo; i capelli rosso fuoco erano ormai diventati del colore d'un tramonto sul tempo andato.

domenica 9 dicembre 2007

La Battaglia di Susy. Capitolo Uno

Lunedì mattina ore 9.30

L'aula era piena, come al solito la gente stava seduta per terra, i banchi e le sedie non bastavano.
Seduta in seconda fila, Susy sfogliava gli appunti distrattamente, mentre ascoltava Bea che raccontava qualcosa a proposito di un certo ragazzo con cui era uscita e con cui aveva avuto una quantomeno discutibile notte di sesso.
Susy, ogni volta che Bea o qualche amica raccontava cose del genere, si domandava come o quanto lavorassero di fantasia le menti di certa gente, perchè diciamocelo, la cosa sarebbe stata verosimile se Bea avesse avesse avuto 20 chili di meno e i capelli sistemati in un modo decente.
Mentre Bea imperversava sulle dimensioni del membro di quel misterioso ragazzo, Susy, con la coda dell'occhio, vide entrare Lui; goffo e sempre in ritardo, quasi buffo. Non capiva come certe persone potessero avere così poca cura di sè solo perchè si alzavano troppo presto la mattina. "In fondo" pensò tra sè mentre Bea continuava a parlare, "Non è neanche tanto male. Certo, se si curasse un pò di più e non dicesse tutte quelle cazzate in classe..."
Susy normalmente non l'avrebbe neanche notato, ma Alex per lei era diventato un mistero, un indovinello o una barzelletta raccontati male, ma pur sempre degni di attenzione. Da qualche tempo continuava a ritrovarselo ovunque e quella mattina si rese conto che doveva indagare. Un sorriso le scappò fugace mentre Alex si sedeva in fondo all'aula, vicino a un tipo grassoccio e unticcio; lei sapeva che non era lì per la lezione, sapeva che era lì per lei.
A Susy non erano mai piaciuti quei tipi che pensano di potersi permettere di dire cretinate cercando di rimanere allo stesso tempo dei fichi. Alex, poi, non era per niente fico.
L'aveva conosciuto tempo prima, non ricordava esattamente quando, ma si ricordava di una specie di scambio di idee molto acceso riguardo a Baudelaire e ai poeti moderni. Lei Baudelaire lo apprezzava, ma non poteva dire di amarlo. Alex, invece, sembrava adorarlo e quando aveva provato a fargli almeno allargare il suo punto di vista, le era sembrato che lui difendesse il caro Baudelaire come fosse un suo antenato.
Follie da intellettuali.
A ogni modo, dopo quel breve e strano incontro, Alex aveva cominciato a collezionare una serie di figuracce ogni volta che si ritrovavano nella stessa classe.E la cosa capitava ormai da troppo tempo. Bisognava rimediare.
Fare una buona azione e concedere una seconda possibilità a quel ragazzo carino dalle idee e dai modi bizzarri? Si, poteva essere un inizio per la sua indagine.
Qualcosa, tuttavia, la fece sentire diversa, qualcosa che, nel guardare quella maglietta dei Clash tutta consumata, ancora non capiva o che forse non aveva mai voluto ascoltare.
Così, decise che doveva conoscerlo meglio e che in fondo nonostante la mitica parentela con Baudelaire, in fondo Alex poteva non essere completamente pazzo o, più semplicemente, che quel ragazzo in verità era un mistero insolvibile che lei, invece, avrebbe risolto.
Una battaglia, insomma, dove sarebbero servite le armi migliori:
- un buon libro su Baudelaire,
- un nuovo profumo,
- sorriso ammaliante e una buona dose di sfaggiataggine e simpatia da unire a quel suo fare da stronza che sfoderava sempre in situazioni del genere.
Mentre si abbandonava a questi pensieri, sentendosi già incuriosita e senza capire perchè avesse deciso di fare quella cosa, dal fondo dell'aula Alex, con voce poco convinta ma udibile da tutti, se ne uscì proprio con una di quelle frasi idiote, che sì fecero ridere la classe, ma che non piacquero per niente alla Prof.ssa Magli, che invano tentava di riportare l'ordine e di cominciare a spiegare.
Ancora una volta Susy sorrise, si voltò senza farsi vedere e per il resto della lezione guardò il suo Alex che sprofondava in mondi lontani dove a lei, per ora, non era permesso entrare.
Ne era certa, ci sarebbe riuscita.

mercoledì 5 dicembre 2007

Le 1000 e 1 Notte

Lo so, lo so, ho scritto solo ieri...

Lo so, certo il contatore non è affidabilissimo... ma fo finta che vada bene e quindi festeggio le mie piccole 1000 visite!
E lo faccio allegando le chiavi di ricerca più curiose che mi sono capitate di leggere e con cui la gente è finita su questo blog!

Ottobre
-mi ha masturbato sul tram affollato
-scopate in palestra con mamma
-il culo di chicca
-foto e immagini di ciucci

Novembre
-gomma da masticare sui capelli come togliere
-la caramella che fa sparire il tasso alcolico

Dicembre
-chiappe sode
-come rimorchiare una barista

Care chiavi di ricerca.. grazie, mi avete fatto sorridere. :)
Agli altri che hanno cercato Romeo e Giulietta e qualsiasi possibile riferimento a Shakespeare non je dico niente, soprattutto a quello che cercava il CAPITOLO 2, e che non sa che non ci stanno capitoli perchè Romeo e Giulietta è un testo teatrale...quindi ci stanno gli Atti e le Scene...

Vabe', basta!
:)

martedì 4 dicembre 2007

Cellar Door n°7

C'è una cantina che non c'è più.
Sta al numero 7 di una via piccola, coi sampietrini che quando piove e hai le ciabatte da mare ci scivoli ma non ti sbucci le ginocchia.
Ma comunque ti ci fai male.
C'è una cantina che non c'è più.
Forse.
Sta nel giardino al numero 7 di una casa vecchia che adesso è nuova ma antica.
L'hanno ristrutturata e so venuti fuori tanti affreschi, visioni del passato che non si possono toccare.
C'è una cantina che non c'è più.
Sta vicino a un campo di bocce, arido, secco, circondato da un muro vecchio e da piante che tentano di sopravvivere. Il rullo, vero, pesante, fatto a mano e che a mano un signore alto alto e magro magro passa sopra la sabbia per appiattirla, il rullo è sabbia nel vento adesso.
Sabbia nel tempo.
C'è una cantina al numero 7.
Le porte sono grandi coi bordi rossi, di vernice staccata. A fianco ce ne sta un'altra, ma quella non c'ha niente di speciale.

C'è una cantina che non c'è più.
Sta al numero sette di una via piccola. Il portone ha il batacchio, come le case antiche. Se lo batti giù dalla strada, da dentro rimbomba fino al piano di sopra. Una mano s'allunga dalla finestra e butta la chiave.
In questa casa, dove le scale ci stanno, ma le sali e non le scendi perchè quando le scendi prendi la bici vecchia sgangherata, fai le scale, e poi esci e vai al mare, in questa casa ci battono cuori.
Quello del signore col rullo, alto alto e magro magro, un giorno è volato via, poesia al vento.
Quello della donna grassa grassa che sorride con fare furbetto, a un certo punto ha cominciato a non ricordarsi di chi era la casa, di chi era il cuore, ma ha battuto forte e pure tanto.
Ora ci stanno due cuori che sono uno e che canticchiano e sonnecchiano insieme a un'altro piccolo piccolo, che del mondo non ne sa niente.
Ma comunque tanti c'hanno battuto, e tutti, poi alla fine, so entrati in quella cantina coi bordi rossi e la vernice staccata.
C'è la finestra della cucina, che dà sulla porta della cantina.
Profumi escono da dentro, pasta fatta in casa, mattarello, farina e sudore, e d'inverno il fumo del camino.
C'è una scala che porta sù. Dalla terrazzina si vede la porta, sì, quella della cantina. Ma si vede pure il tetto. E' fatto strano, non me lo ricordo quasi più.

C'è una cantina che non c'è più.
Apri la porta e manda un'odore strano.
Quasi hai paura tra ragnatele, arnesi che non sai, e gabbie per conigli.
Ma la bici sta là, e la pompa per gonfiarla anche, e allora entri.
Sudi.
E' estate, è vero, ma tu sudi perchè hai paura.
La conosci a memoria ormai, ma c'è sempre un angolo a cui non t'avvicini perchè una volta, di notte, hai visto brillarci strani occhi.
Il gatto della vicina.

C'è una cantina che non c'è più.
E' un caos, delirio di rottami e polvere antica, un macello, un vero mistero.
Forse, il più bello.

lunedì 3 dicembre 2007

La Battaglia di Alex. Capitolo Cinque (Seconda Parte)

Sabato notte, un'ora imprecisata.

I titoli di coda scorrevano lenti sul piccolo televisore.
Qualcuno dormiva beato sdraiato a terra, sommerso da lattine di birra vuote, cuscini e cicche di sigaretta.
Linda e il Ghiro tentavano inutilmente di rimettere a posto lo schifo che l'allegra combriccola era stata capace di produrre in circa dodici ore di video-lobotomizzazione.
Bea, che s'era ripresa dalla sbronza, chiacchierava mentre cercava il cappotto di qualcuno che stava andando a casa.
O a fare colazione.
"Chi vuole i cornetti caldi?"
"Non so, fate voi!"
"Allora cornetti per tutti!"
Alex guardava Susy che dormiva appoggiata sulla sua spalla.
Improvvisamente s'era reso conto di quanto pesante fosse un corpo umano.
Poi, come un fulmine, tutto accadde velocemente.
"Alex... ho sonno."
"Lo vedo, bambolina."
"O vai a casa e ti prendi il tuo cappotto di là, oppure mi lasci dormire."
"Ok."
"Ok cosa?"
Lampo.
Poi tuono.
"Ti porto a dormire e vado a casa."
Susy aprì piano gli occhi addormentati di alchool.
"Tu sei tutto scemo!"
Con uno scatto felino, come un gatto spaventato da un forte rumore, Susy si alzò in piedi veloce e lo prese per mano.
"Il cappotto sta in camera mia. Te lo porto."
"Eh no, bambolina. Ho detto, ti porto a dormire e vado a casa. Quindi adesso ti porto a letto."
Lampo.
Poi tuono.

Susy era snella, minuta, ma non bassa. Pesava come può pesare un libro bello ma lungo e difficile.
Era un libro.
Era un dipinto di cui non sai i significati mistici che cerchi di trovare nell'ampiezza delle sale da esposizione.
Era un frutto esotico che vorresti assaggiare ma che non tocchi perchè poi sennò finisce subito.
Alex, nonostante la sbornia ancora in canna, la prese in braccio.
Lei rise.
Fresca.
Lampo.
Poi tuono.

La porta dell'ingresso era aperta mentre qualcuno portava fuori sacchi di spazzatura, faceva vento nella sala perchè la finestra era spalancata e una foglia secca era sgusciata dentro come un pensiero fugace.
Alex stava in piedi vicino al letto grande di Susy; lei apparentemente addormentata parlottava a occhi chiusi.
"Il cappotto sta là. Non lo so dove, ma c'è."
"Adesso lo cerco io, te dormi che è tardi."
"Non è tardi."
"Si. Saranno almeno le sei."
"Allora non è tardi. E' mattina presto."
"Punti di vista, comunque ho trovato il cappotto."
"Bene. Però adesso mi passi la coperta?"
"Non c'è."
"Si. Vedi nel cesto. Quello vicino la scrivania."
Quei cinque passi sarebbero stati mortali, Alex lo sapeva bene. Ma non c'era altro da fare. Erano i suoi cinque passi, come un cowboy che va a sfidare la morte.
Allungò la gamba e fece il primo, poi, a metà della stanza, il vento ululò sinistro nella sala e lui si voltò.
Una foglia scricchiolando era sgattaiolata dentro, poi SBAM!
La porta della stanza di Susy si chiuse forte.
Lampo.
E poi... Tuono.

martedì 27 novembre 2007

La Battaglia di Alex. Capitolo Cinque (Prima Parte)

Sabato, ore 01.30

Qualcuno aveva finito i popcorn.
Qualcuno aveva finito la birra.
Qualcuno stava vomitando di brutto, nel bagno vicino alla camera di Linda.
La porta era aperta e un paio di scarpe da ginnastica consumate spuntavano fuori.
Il Ghiro allungò la testa per vedere chi era il poveraccio che pregava Dio solo a metà di una di quelle serate che sai quando cominciano ma non sai quando finiscono.
La figura piegata carponi non sembrava assomigliare a nessuno che conoscesse, così il Ghiro tirò dritto verso la cucina.
Un paio di minuti e i popcorn avrebbero cominciato a scoppiettare nel microonde.
Le birre, invece, stavano sul micro terrazzo, a prendere il fresco, perchè il frigo era pieno di super alcolici.

"Oh, bella."
"Ciao. Ma chi è che vomita in bagno?"
"Bho... io manco me ne ero accorta. Senti tra una paio di minuti riattacchiamo con un'altro film, che fai vieni?"
Il Ghiro guardò Linda con sguardo liquido, lei si stava versando una specie di intruglio, qualcosa tipo RedBull, Whiskey, e Cola. Sorrideva.
"Si. Finisco con i popcorn, stappo una birra e vengo di là."
"Okay, ma di birre prendine un paio. Dai, aspetta che ti dò una mano."
Il Ghiro spesso dormiva, era ovvio, ma questa volta era abbastanza sveglio per capire che Linda quando sarebbero tornati su quella sottospecie di divano arrangiato nel salotto si sarebbe seduta vicino a lui e che, altrettanto sicuramente, avrebbe poggiato la sua testolina mora sulla sua spalla ossuta proprio sulla scena clu del film.
Era sua.
Era sicuro.

Alex osservò il Ghiro e Linda rientrare nella sala; si capiva lontano un miglio che c'era una certa intesa, ma quello che non capiva era come facesse Linda ad apprezzare uno strano come il Ghiro. Comunque, non erano affari suoi e, dopotutto, lui era lì solo per parlare con Susy.
Ma Susy non c'era.
Mancava da quasi un'oretta, era uscita a comprare le sigarette con un'amica, una che non aveva mai visto, perchè Bea stava vomitando in bagno, o forse si era addormentata da qualche parte vicino al bagno.
Il film che stavano per vedere era un classico da vergognarsi, Arancia Meccanica, ma Alex, che ovviamente lo conosceva a memoria, non riusciva ad alzarsi dal divano perchè quello era il film che aveva scelto Susy... e la porta dell'ingresso si era appena aperta.
Susy e l'amica non meglio identificata erano tornate.

"Susy, dai che mettiamo Arancia. Sbrigati è il film che hai scelto tu."
"Eccomi eccomi, oh il distributore mi ha fregato i soldi, quindi niente resto!"
Alex la guardava dal basso mentre si sedeva vicino a lui. Non capiva come mai avesse scelto proprio quel film.
"Allora, Alex" gli disse lei sorridendo, "Visto? Ti ho pensato e anche se è un classico... l'ho scelto comunque."
"Be', che ti devo dire? Lo adoro. Lo sai."
"Si, lo so."
"Oh fatela finita che comincia e qua Bea non l'ha mai visto!"
"Voi intanto iniziate, io vado a prendere da bere."
"Ti dò una mano."
Alex s'era alzato svelto come un gatto e aveva seguito Susy in cucina.
Dal bagno arrivava un odore di vomito fresco.
Chiuse la porta.
"Oh, Susy ma stai qua?"
"Si si, solo che s'è fulminata la lampadina"
"Ah, attenta che c'è un casino di robba per terra."
"Apri il frigo che fa luce."
"Ti aiuto con la robba da bere."
"Sai una cosa?"
"No, cosa?"
"Io lo conosco a memoria quel film."
"Idem"
"Odio quelli che rispondono idem"
"Scusa"
"Prendi il rum."
"Niente rum."
"Allora una tequila."
"E a che brindiamo?"
"Chi dice che brindiamo?"
"No.. pensavo..."
Susy si avvicinò al frigo, prese la tequila e ne versò un pò nel bicchiere da shot.
"Allora, mi fai compagnia o no, gringo?"
"Ovvio, chica."
"Pff.. Ma falla finita."
"Insomma, non lo vediamo il film?"
"Ma non lo conoscevi a memoria?"
"Si, ma lo voglio vedere comunque."
"Io no."
"Allora perchè l'hai scelto?"
"Perchè anche se non lo vedo è come se lo avessi visto dato che l'ho già visto"
"Ah."
"Che fai, mi assecondi?"
"No no, figurati. Ho capito."
"Io credo di no."
"E che c'è da capire, sentiamo?"
"Guarda, lascia stare..."
"Io comunque non avrei scelto questo."
"E quale?"
"Bho, non so. Forse un classico dell'horror, se tanto ci dovevamo buttare sui classici.."
"Allora, magari, possiamo rimanere qui, chiacchierare fino alla fine di Arancia, finirci questa bottiglia di tequila, dire stronzate, e aspettare di mettere su un film horror. che ne dice sua signoria?"
"Dico che ci sto."
E così, mentre nella sala l'Alex in celluloide si divertiva a compiere efferati crimini, l'Alex reale si distruggeva il fegato insieme alla donna che gli stava distruggendo il cuore.
Poi, d'un tratto, finì la tequila.

lunedì 19 novembre 2007

La Battaglia di Alex. Capitolo Quattro (Seconda Parte)



Ore 18.00

Il Ghiro era già lì, Alex lo vedeva da un centinaio di metri, seduto sulla sedia di metallo fuori dallo Scacco. Cappottino sdrucito e un'aria da straccio per i pavimenti buttato da una parte con noncuranza.
Tutto come al solito.
Da lontano, Alex rallentò il passo per vedere se l'amico si girava, ma quello ciondolava una gamba alla Dylan Dog mentre infilava del tabacco nella pipa.
Che cosa gli avrebbe raccontato? Alex non s'era preparato un discorso; di solito lo faceva, a volte caricava anche i suoi racconti con particolari piccanti distorcendo la verità quel tanto che basta per renderla più interessante. Ma al Ghiro non si poteva mentire che se gli sfuggivano molti dei significati della vita, certe storie, raccontate come favole per i bambini davanti a un vodka martini, proprio non gli si potevano tener nascoste.
E poi, con i soliti cinque minuti di ritardo, sarebbe arrivato anche Rico.
E Rico l'aveva visto parlare con Susy, anche se si rotolava per terra ubriaco fradicio, l'aveva visto.

"Ciao."
"Ehilà, un tiro?"
"La pipa non mi piace. La fumava mio nonno."
"E immagino che non ti piace perchè non ti piaceva tuo nonno!"
"No. Mio nonno era uno ok. E la pipa, a lui, gli stava proprio bene tra le mani."
"Sarà... Allora, cos'è 'sta storia dell'appuntamento anticipato?"
"C'è che tra una mezza deve passare la coinquilina di Susy a riprendersi una giacca che s'è dimenticata da Chicca. Giacca di cui si da il caso io sia in possesso."
"E mi dica, signor Sherlock, ritiene queste motivazioni sufficenti per rispondere alla mia domanda oppure c'è dell'altro che vorrebbe aggiungere?"
"Falla finita."
"E dai, non rompere! è che 'sti giorni stavo rileggendo Doyle..."
"C'è altro. Da dove comincio cazzo?"
"In principio fu il verbo... Era così più o meno, no?"
"Bho, mi pare."

E Alex, mentre Rico gli mandava messaggi per scusarsi dicendo che si sarebbe venuto sicuro, ma che no, prima delle 18.30, il che voleva dire le 18.35, non sarebbe stato lì, Alex cominciò a raccontare.

"Bhè, non c'è molto da dire, sai. Susy non s'era vista quasi per tutta la sera. Vengo a sapere da Chicca che era fuori con uno, manco ti sto a dire chi, tanto non è questo l'importante. Il fatto è che mi ci sono incazzato, sì', perchè ero a casa di Chicca solo per lei e lei cosa fa?Esce e si ubriaca con 'sto tipo..."
"E vabbhè, comunque poi che è successo? Rico mi ha mezzo anticipato che vi ha visto insieme!"
"Rico si deve fare i cazzi suoi!"
"Oh, Alexbello, Rico è amico tuo da una vita. E poi gliel'ho estorto..che lo so che a 'ste feste qualcosa succede sempre. Dai, vai avanti."
"Si. Insomma, ero lì buttato da una parte e poi eccola che entra nella stanza, capelli sciolti birra in mano...una fica pazzesca."
"Mah, se lo dici tu."
"Ma zittati va'. Insomma, lei entra nella cazzo di stanza e ovviamente manco mi vede oppure fa finta. Io però ci provo lo stesso. Così ci salutiamo e poi bam..."
"Bam che?"
"No, che cominciamo a parlare. Non mi ricordo proprio benissimo di cosa o da dove abbiamo cominciato, però abbiamo parlato per mezzora di fila e quando era l'ora che andasse via si vedeva eccome che non le andava mica!"
"Ma scusa, ma di che avete parlato? E poi, come cazzo è possibile che sua altezza ti abbia concesso mezzora del suo tempo."
"Rispondo alla seconda: la birra fa miracoli. Aveva bevuto un po', e sembrava in vena di chiacchiere, quindi, e qui rispondo alla prima, abbiamo cominciato a parlare prima della casa di Chicca."
"E questo ci sta."
"Ci sta. Poi non so come siamo finiti a parlare di qualche prof. e poi su qualche autore. E la sai una cosa?"
"No."
"Bhè, l'ho trovata una conversazione strana. Voglio dire, non tanto per gli argomenti, che poi io lo sai, Ghiro, tu mi conosci, alla fine faccio il duro, ma poi quando mi va ci ragiono anche normale sulle cose..."
"Si vabbhè. Dicevi?"
"Eh, si, dicevo, una conversazione strana perchè non mi sono innervosito, non ho sudato come quando c'avevo quindici anni, e non ho manco provato l'impulso animale di saltarle addosso e basta. Hai capito che robba? Eravamo come solo io e lei, anche se c'era Rico che si rotolava a due metri. Io e lei. Bho.."
"Bho che?"
"Bho che mi sa tanto che, amici a parte, lei forse è uno dei pochi esseri umani dell'altro sesso con cui ho parlato senza cazzeggiare. Tipo...tipo una delle conversazioni più interesasnti, tranquille e insieme assurde che mi sia mai capitata. Una ficata pazzesca."
"Ahahaha. Jesus!"
"Mbhè? Perchè ridi? Per una volta che faccio il serio...Lo sai che con te faccio il serio."
"Lo so, per questo rido. Io ho visto quello che tu ancora non hai capito...o meglio che non hai visto..."
Alex si gira e a pochi metri ecco comparire Susy con l'inseparabile coinquilina.

"Ehi! Siamo qui!"
"Ah, ciao. Dai Su, andiamo vah."
"Vai te, io mi prendo una cosa."
"Ciao, io sono Alex. Chicca mi ha dato la tua giacca."
"Si si, mi ha spiegato tutto. Oh, grazie mille eh!"
"Figurati"
"Mmm, senti, ma te e l'amico tuo, c'avete impegni domani sera?"
"Maaa, il sabato di norma è una serata jolly. Perchè?"
"No c'è che avrei organizzato una maratona di film..."
"Che film?"
"Mah, alcuni già decisi, altri potete proporli voi..Il tema in teoria ancora non c'è...Se volete, portate quello che vi pare. Tanto, l'indirizzo lo sai. Alle 22. Se vi va passate, ok?"
"Si vedrà, grazie!"
Alex aveva visto Susy scambiare due chiacchiere con l'amica, poi Linda, l'amica, era andata in bagno e Alex aveva colto l'occasione al volo.

"Ciao.."
"Ah, Alex. Ciao!"
"Allora, come va?"
"Bene. Quel tuo amico s'è ripreso dopo ieri notte?"
"Eh, si si, tutto appostissimo. E tu, tutto bene?"
"Non c'è male. Allora, bella chiacchierata eh!?"
"Già, mi ha fatto piacere. Se vuoi possiamo replicare anche subito.."
"No, guarda. Ora ho da fare, dobbiamo organizzare tutto per domani sera.."
"Già, immagino. Oh, comunque io ci sono eh!Contaci."
"Come vuoi, alla fine anche io..cioè noi... si insomma Linda s'è decisa all'ultimo..."
"No ma figurati ci sono eccome!"
"Bhe, pensavo sai è sabato magari avevi da fare..."
"IO? No, e poi adoro le cose di film.."
"Maratone."
"Quelle."
"Bhe, allora..ci si vede domani."
"Contaci!"
"Cia'"

Susy si allontanò come Mary Poppins, sollevata dalla brezza leggera e dalle foglie del viale che giravano in un turbinio di scricchiolii.
Alex era incredibilmente serio.
Quell'ultimo saluto, quello scambio di battute..quella cazzata sulla maratona dei film...
Ancora una volta, mentre la luce del lampione urlava al viale la sua artificialità e Baudelaire dall'alto dei suoi paradisi artificiali gli tornava alla mente e lo derideva, Alex si rese conto che quella non era davvero la solita settimana.
Quella...era solo un ricordo.

domenica 11 novembre 2007



Prima notizia: scopro con sorpresa che il mio piccolo blog è stato segnalato sul sito di MALATEMPORA.
Ringrazio i ragazzi del sito per le belle parole, speriamo portino fortuna!

Seconda notizia: ho il pc sfondato quindi non so quanto potrò riaggiornare il blog e andare avanti con La battaglia di Alex.

martedì 6 novembre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Quattro (Parte Prima)

Venerdì ore 10.00

La lezione era di quelle da coma irreversibile, e Alex, come al solito, sonnecchiava scarabocchiando sul quaderno degli appunti aspettando il momento per tirare fuori uno di quei libri che s'era imposto di leggere per l'allenamento. Quel giorno gli toccava finirsi Orgoglio e Pregiudizio e non riusciva a capire, nonostante la storia fosse abbastanza scontata,perchè le parole di quella cinica scrittrice lo continuassero a tenere incollato alla pagina.Così, si perse nelle ultime 50 pagine, sfogliando e sbadigliando al mattino che avanzava lento tra le finestre della classe mezza vuota.

Venerdì ore 14.30

Anche quel pomeriggio il pranzo era stato pessimo:
-un tramezzino
-un pezzo di pizza
-una birretta con i compagni di corso
La lezione, invece, era una delle sue preferite, "Il romanticismo inglese dal verso al dipinto". Anche se poteva sembrare palloso, il corso affrontava temi interessanti e il professore cercava collegamenti con la pittura. Alex non ci capiva un tubo di pittura, ma amava invece quei versi pieni di realtà e mistero, affumicati dalla vita sregolata dei poeti e, ne era certo, dal piacere delle belle donne. L'unica cosa che non capiva era perchè si parlasse davvero poco di Blake, quando poi era da lì che partiva quasi tutto.
Quel pomeriggio, tuttavia, Alex era impegnato in altri pensieri ed esplorava mondi e vite alternative in attesa del solito appuntamento per l'aperitivo allo Scacco.
Che diavolo avrebbe raccontato agli amici della sua chiacchierata con Susy? Sapeva che non poteva inventare cazzate; Rico, anche se era ubriaco, li aveva visti insieme e sapeva che la serata, per Alex, s'era assottigliata in quei trenta minuti di chiacchiere.
Così, pensò, non avrebbe avuto scelta, doveva raccontare la verità nient'altro che la verità, ma dopotutto si rese improvvisamente conto che quella storia da rimorchio notturno sarebbe stata l'unica diversa e che forse quel pomeriggio i suoi compari l'avrebbero ascoltato come le vecchiette ascoltavano i preti alla messa in latino tanti tanti anni prima.

Finita la lezione, però, squillò il cellulare e Alex si ritrovò catapultato in una di quelle realtà alternative dove scopri che esiste un altro te completamente diverso.
Al telefono era Chicca.

"Alex, sei te?"
"Si, ma chi è?"
"Chicca. Bhè senti, a casa mia ho trovato una giacca."
"E allora?Io non avevo la giacca ieri..."
"Scemo, guarda che non è tua."
"E da me allora che vuoi?Ma poi il numero chi te l'ha dato?"
"Me l'ha dato Stew, l'ho incontrato stamattina.Senti, dopo che ti spiego perchè ti chiamo mi dovrai un favore.."
"T'ho già detto che non mi va di uscire con te..."
"Ma fossi scema!Ieri scherzavo, ero solo un po' brilla.Dicevo, la giacca credo sia della coinquilina di Susy, com'è che si chiama?"
"Bho non lo so..Ma io che c'entro?"
"Vabbhè, è che m'ha chiamato per riprendersela ma io sono fuori tutto il giorno, così pensavo che siccome conosci Susy magari potevi riportargliela tu."
"Io?Ma io la cazzo di coinquilina di Susy non la conosco.."
"No, lo so, però conosci Susy. Dai fammi sto favore..ti lascio il cellulare di questa tizia e vi mettete daccordo."
"No senti, non c'ho soldi, lasciagli il mio e mi chiamasse lei. Io dalle 18.30 sono allo Scacco, se mi vuole sono lì.Guarda tu che palle..."
"Ma sei scemo o cosa? Voglio dire, guarda che lei e Susy girano sempre insieme..se non te ne sei accorto ti sto facendo un favore.."
"Mmm, si vabbhè, dai scusa, poi ti offro un caffè eh. Adesso passa a casa da me che mi dai sta giacca e la facciamo finita."
"Ma il caffè me lo offri dopo una cena?"
"Oh, adesso non esagerare..Ci becchiamo tra una mezz'ora."

Alex rimase a guardare il cellulare, intontito.
Dover fare un favore a Chicca lo scocciava, perchè era universalmente risaputo che Chicca ti si attaccava come la gomma da masticare sui capelli, però era vero, gli stava dando l'opportunità, la vaga speranza, di rivedere Susy a meno di ventiquattr'ore dall'ultimo incontro.
Afferrò lo zaino e in fretta e furia si precipitò a casa, cercando di salvare il salvabile.
Programma del pomeriggio:
-mettere apposto la stanza
-farsi una doccia
-chiamare il Ghiro e confermare la punta, anzi no, gli sarebbe servita una mezz'ora in più per raccontargli tutto.

Prossima meta:
Lo Scacco ore 18.00

martedì 30 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Tre (Seconda Parte)

Giovedì, un'ora imprecisata della notte..

La festa non era niente male, dopotutto. Essere invitati ufficialmente aveva i suoi vantaggi, per cominciare potevi bere senza preoccuparti che qualcuno si ricordasse che tu lì non dovevi starci, poi potevi chiacchierare con tutti, senza dover evitare il padrone di casa.
Mentre i compari di Alex si aggiravano nel salottino, Alex cercava Susy.Qualche ora prima l'aveva vista entrare, stranamente sola, e prendersi una birra dal frigo di Chicca, poi però l'aveva persa di vista.

"Ehilà, Chicca!Come andiamo?Hai mica visto Susy?"
"Alex! Alla fine siete venuti eh!Forte!"
"Eh si, bhè sai mi sono liberato da un paio di impegni...Ma Susy l'hai vista?"
"Me l'immagino di quali impegni stai parlando, ma se vuoi ci si può impegnare io e te...", Chicca aveva decisamente bevuto troppo.
Normalmente Alex non avrebbe potuto chiedere di meglio, del fisico non gliene fregava niente, quando trovi una porta aperta entri e basta. Ma Alex quella sera usava le chiavi di un'altra porta.
"Oh, Chicca, me lo dici o no dove cavolo sta Susy?"
"Oh, rilassati!"
"Senti, dimmi dove sta Susy e poi forse tra un milione di anni te lo darò anche..."
"Idiota! Comunque, Susy è uscita con Danny a prendere credo birra e sigarette.Tanto comunque è inutile che ci provi."
"Ma stai zitta!"

Alex era seduto su un divanetto, Susy era fuori da parecchio e lui già si immaginava questo Danny, di cui non ricordava nulla tranne il fatto che lo odiava. La gente aveva cominciato a dormire per terra, qualcuno era tornato a casa, certi erano saliti sulla terrazza del condominio non si sa a fare cosa. Poi arrivò lei.
Susy aveva un paio di jeans mezzi rotti, una maglietta nera che risaltava il rosso dei capelli. In mano reggeva una birra.
Era il momento perfetto, lei veniva verso di lui, anche se, in effetti, non lo aveva affatto notato.

"Ciao, Susy!"
"Alex", gli rispose un po' fredda, ma con quel filo di voce di chi ha bevuto abbastanza.
"Allora, che festa eh!?"
"Non saprei, sono stata fuori con Danny, hai presente?"
"Ma certo, Danny..."
"Quello che fa il terzo di dottorato. Vabbhè.."
"Ma adesso stai da sola?"
"Ti sembra che ci sia qualcuno con me?"
"No infatti. Stai sola."
"Cioè, mi stai dicendo che sono troppo pallosa per avere compagnia! Bhe, ti ringrazio. E io che pensavo che dopo la figuraccia con Baudelaire almeno avessi capito quando aprire bocca..Vabbhè, ti saluto."
Baudelaire lo perseguitava ancora, dannazione!
"No, ma guarda che hai capito male! Anzi, per la verità mi stavo offrendo di farti compagnia..e magari vedere se riesco a salvarmi dagli errori del passato...Che ne dici?"
Susy si voltò lentamente, le labbra carnose poggiate sulla pottiglia di birra; ne bevve un sorso, poi all'improvviso:
"Ok. Lo sapevo che prima o poi ne avremmo riparlato. Però io tra mezzora devo andare a casa, e no, non mi puoi accompagnare."
"Bhe, ok, allora. Perfetto."

Mezzora dopo.

Susy guardò l'ora sul cellulare color pisello e decise che quella sera avrebbe interpretato la parte di Cenerentola scappando via.
Ma, come per quella gran culo di Cenerentola, anche lei, stranamente s'era divertita e aveva passato una buona serata.
Tuttavia Alex, che si alzò per salutarla mentre lei raccoglieva le sue cose,non poteva sapere cosa stesse pensando quella cretura tanto graziosa, così quando arrivò il momento di riportare Rico a casa prima che spargesse vomito sulle pareti di casa di Chicca, Alex si sentì vagamente triste e la sensazione di aver fatto un'altro buco nell'acqua cominciò a infastidirlo e a farsi sempre più vivida nella sua mente.
Quelle ultime ore della notte, poi, non passaro affatto bene.
Alex, come tutti e come sempre a queste feste, aveva finito col bere troppo e mentre stava sdraiato sul letto, la stanza si trasformò in una minuscola barca in balia del mare.
L'unica ancora di salvezza per superare le prime ore dell'alba fu l'immagine di Susy seduta a chiacchierare con lui. Non era stato per caso, o meglio, se anche era successo solo perchè era ubriaca, di certo non era casuale quell'ultima frase con cui l'aveva salutato...
"Allora ciao, ci vediamo a lezione...magari poi, non so, un'altra chiacchierata o sarai impegnato con la solita ragazza di turno...?"
E Alex, all'improvviso, mentre abbracciava la tazza del cesso, si rese conto che mai più sarebbe uscito con un'altra ragazza e che mai, e poi mai avrebbe più mangiato messicano prima di una festa a base di solo alchool.

martedì 23 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Tre (Prima Parte)

Giovedì ore 9.00

Alex si alzò barcollando dal letto.
Normalmente si sarebbe alzato solo nel tardo pomeriggio, ma, com'era chiaro dalla serata prima, questa non era una settimana come le altre.
Qualcuno, con ogni probabilità Rico, aveva programmato la sveglia per il giorno dopo.
Alex, assonnato ma abbastanza incazzato da poter ragionare sui fatti, cercava di riaddormentarsi quando, mentre metteva la sveglia sotto il cuscino, gli cadde l'occhio su quei libri che s'era procurato per portare a termine il suo piano e che ora lo fissavano dal comodino lì a fianco.
'Bhè, dopotutto visto che sono mezzo sveglio, potrei anche impegnarmi...In fondo i miei amici hanno ragione, il vecchio trucco non funzionerà mai con Susy.'
La colazione era qualcosa che nei giovedì mattina di Alex non era mai esistita, e infatti, a parte una bustina di tè vecchia di mesi, in casa non c'era niente di commestibile. Così Alex scese al bar, salutò la barista che s'era rimorchiato tempo prima e con il suo tazzone di tè si mise a leggere.
Era strano passare la giornata seduti a un tavolo, veder passare le persone e sentirsi completamente distaccati dal mondo; immerso com'era nelle sue letture, Alex si sentì stranamente a suo agio, tranquillo e con la sensazione di fare la cosa giusta.
La telefonata con mamma Clara fu l'unica cosa di quella giornata che non cambiò affatto, se si esclude che questa volta il telefono venne preventivamente poggiato su un ripiano sicuro in modo da non cadere.

Verso l'ora di cena lo chiamò il Ghiro annunciandogli di tenersi libero per la serata.
"Guarda che lo so che è giovedì..senti, ma a casa di chi ci becchiamo stavolta?"
"No, vedi che non sai un cazzo!!Ma non t'hanno avvertito Rico e Stew?"
"Certo che mi hanno avvertito..questo infatti è proprio il tono di uno che sa cosa sta succedendo!Cretino!"
"Uffa, quei bastardi, e meno male che t'ho chiamato per gli appunti, sennò sai che fine facevi stasera!!Comunque, stasera, caro mio, siamo invitati a una festa a casa di Chicca, quella del secondo anno.Biondina, occhi chiari..gran culo!"
"Come una festa?E perchè?Io sta Chicca manco me la ricordo.."
"Questo perchè tu a lezione il venerdì mattina dormi"
"Bhe cosa dovrei fare?Prendere appunti?"
"No, guardare il culo di Chicca!Che, se non lo sai, è universalmente riconosciuto come il più bel paio di chiappe che mai abbia incantato e deliziato noi poveri mortali!"
"Si, vabbhè. Ma sta festa per che motivo la fa?E poi dove?"
"Il motivo non lo so, credo perchè ha l'appartamento libero. Sai che sta con due coinquiline pallosissime?!Bhe a quanto ne so le mummie sono partite e lei ha casa libera per qualche giorno."
"Si, ma noi,dico..cioè, come ci siamo finiti a essere invitati?Di solito non ci imbuchiamo?"
"Regolare!Ma questa volta siamo invitati a tutti gli effetti. E la cosa più importante sai qual'è?La cosa più importante è che ci sarà anche una certa Susy!Adesso che mi dici, sei dei nostri?"
"Come c'è Susy?Ma chi te l'ha detto?Certo che ci sono!Oddio...però..Merda e che le dico?"
"Ehi amico, tu intanto pensa a portare il tuo culo pesante a casa mia per le dieci e mezza, compra qualche birra e poi pensiamo alla strategia migliore!"
"Ok, a dopo!"
La notizia era insieme terribile e eccezionale; non vedeva Susy da lunedì e già s'era immaginato come avrebbe fatto per sparare il primo colpo. Certo non era preparato al massimo, ma c'era ancora tempo e poi, dopotutto, mica doveva provarci subito.
No.
Prima l'avrebbe avvicinata cercando di non fare battute idiote e facendo in modo che lei non lo odiasse. Se riusciva a parlarci da solo per almeno una mezzora, venti minuti, sicuramente la prossima volta avrebbe avuto più opportunità.
Appunti per la serata:
-maglietta dei Clash da lavare
-finire di leggere il libro di storia della letteratura
-MAI, e poi MAI menzionare le seguenti cose:
a)i poeti moderni
b)Baudelaire o qualsiasi riferimento a quell'infausto episodio che l'aveva portato all'attuale disperata situazione
c)qualsiasi altra stronzata che di solito gli usciva dalla bocca.

giovedì 18 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Capitolo Due.

La settimana tipo era cominciata, e niente avrebbe potuto invertire il corso di quei giorni ormai immutati da due anni.
Niente.
O quasi.

La Settimana di Alex:
-Lunedì: lezione la mattina. Sparare una serie di stronzate in classe sperando nella clemenza divina il giorno dell'esame. Era più forte di lui!
-Martedì: lezione il pomeriggio. Palestra la sera. Canna prima di andare a dormire.Fondamentalmente un giorno vuoto.
-Mercoledì: niente lezione. Riunione serale con gli amici. Chiacchiere e bevute.
-Giovedì: fotocopia del giorno precedente, salvo per la fatidica telefonata a mamma Clara. (Note alla telefonata: Ricordarsi di appoggiare la cornetta del telefono in modo che non cada, altrimenti mamma Clara sente il rumore e capisce che ho "abbandonato la discussione".)
-Venerdì: lezione mattina e primo pomeriggio. Giornataccia! A casa, ripulire il lerciume per sabato e comprare scatola di preservativi. Aperitivo. Appuntamento allo Scacco ore 18.30
-Sabato: rientro dall'aperitivo del giorno prima. Lunga dormita. Punta con gli amici. Se capita una a scelta tra le seguenti attività: a)discoteca, b)pub, c)cinema,d)rimorchiare una o più tipe e portarsela a casa.
-Domenica: nessuna attività cerebrale registrabile.

Martedì pomeriggio ore 18.30
Alex aveva aspettato Gigio un po' troppo per i suoi gusti, ma alla fine era riuscito a strappargli un po' più erba del solito. A casa non c'era nessuno, così dopo la palestra si sarebbe fumato il suo spino in santa pace. Magari avrebbe pensato all'assistente. Magari no.
Quand'era arrivato quasi alla fine e il fumo aleggiava vivo nella stanza, Alex si sentì addosso una sensazione che prima non aveva mai provato. Era vagamente triste, riflessivo forse. Allora, visto che il sonno l'aveva messo in standby, si mise a leggere. Doveva ripassare Baudelaire, il giorno dopo era Mercoledì, c'era la riunione.

Mercoledì sera sera ore 20.00
Casa di Rico era sempre il posto migliore per le rimpatriate perchè lui ormai viveva con la sorella. E perchè la sorella si portava a casa delle amiche da togliere il fiato quanto i pantaloni.
La cena consisteva solitamente in pizza e birra.
In alternativa solo birra.
Il momento topico di quegli incontri non si svolgeva a tavola. Capitava spesso che, quando il tasso alcolico poteva stendere un gigante, il gruppetto si mettesse a farneticare di assurdità. E questa era una di quelle sere.
Alex aveva cominciato ad andare fuori di giri verso l'una, cercando di usare come cavatappi un temperino di metallo.

"Oh cacchio..ma se ci infilo il dito, cioè, secondo voi che succede?"
"Sai dove lo devi infilare quel dito del cazzo?Lo sai o no?" Rico cominciava a sfottere Alex, il suo sport preferito da quando erano piccoli.
"Ragazzi, a proposito di dita...anzi, di mani", Stew si alzò in piedi con la bottiglia mezza vuota, "Ma voi, quando scopate, con quale mano toccate le chiappe?"
Alex lo guardò interrogativo. "Non capisco cosa intendi..voglio dire.."
"Ehi, io le chiappe non me le tocco!"
"No Rico, Stew voleva dire con quale mani agganci il culo della fortunata di turno. Giusto Stew?"
"Si, credo che più o meno volevo dire quello. Bravo Ghiro!" Stew s'avvicinò al Ghiro,sdraiato sul letto a fumare una sigaretta, e gli diede una pacca sulla spalla.
"Bhe, io..io non ci ho mai pensato. Ma perchè, cambia qualcosa?" Alex era deciso a capirne di più.
"Come? No, se cambia qualcosa e viene fuori che ho usato per anni la mano sbagliata..." Rico era diventato di un colore strano.

Ore 3.00
"Bha, secondo me, comunque, la devi smettere di usare il vecchio trucco.."
"Ma guarda che non è un trucco."
"Vabbhè, Alex, ma si vede che non funziona più, trucco o no che sia.."
"No senti, la scorsa settimana ha funzionato e io credo che forse.."
"Ah, la scorsa settimana!! Bhe, chi era la vittima?La conosciamo?"
"No, non la conoscete. è una che lavora al bar sotto casa."
"Cioè, ti sei rimorchiato la barista?Ah cavolo, sei messo male!"
"Ma perchè, che c'hanno le bariste che non va?"Rico non capiva.
"Bhe, Rico, se il caro Alex vuole dimostrare a se stesso e a noi che il vecchio trucco funziona ancora, è ovvio che non può provarci con una barista..!" Il Ghiro si risvegliò in quel momento dal coma. "E sai perchè non può farlo?"
"Senti non farmi giochetti che ci metto un secondo a mandarti in orbita!"
"Non può farlo perchè è ovviamente ovvio che una barista a cui parli del caro Baudelaire si senta affascinata da parole che mai aveva sentito prima e che quindi ti apra il portone con più facilità e senza farlo cigolare!"
"Aspetta, vuoi dire che Alex usa lubrificante per portoni?Cazzo mi fai confondere!"
"Seriamente, io credo che funzioni ancora. Comunque, anche se fosse è inutile, perchè con Susy non funziona, e non ha funzionato! Devo trovare un'altro modo.."
La discussione proseguì animatamente e mentre Rico sprofondava nel sonno più profondo, il Ghiro prendeva dava ripetizioni a Stew, facendogli vedere esattamente come doveva essere praticato il vecchio trucco.
Alex, invece, stava lì, a guardare quei suoi amici che non avevano problemi e che felici lo inondavano di birra per alleviargli le pene.
Ma, come diceva sempre il Ghiro, le cose se non vanno dritte vanno di lato, quindi lui doveva solo fare in modo che cambiassero tragitto.
E così avrebbe fatto.

Era ovvio, quindi, che quella non sarebbe affatto stata la settimana tipo che si aspettavano.

mercoledì 17 ottobre 2007

La battaglia di Alex. Presentazioni



Da piccolo Alex veniva definito un bel bimbo paffuto. Era tondo come un cocomero; mamma Clara gli metteva sempre vestitini verdi perchè le piaceva il colore. Però col tempo le cose cambiano.
A 15 anni Alex era un perfetto idiota. Apparecchio e cuffie sempre accese. Capelli in fase di crescita, un poster di Kurt Cobain mezzo rotto e qualche poster di modelle mezze nude. La mamma Clara diceva che erano irrispettosi. Alex, quei seni rotondi e quelle chiappe sode, invece, li trovava confortevoli. Ovviamente,non si sentiva per niente a suo agio con le ragazze della sua scuola. Sembrava sempre che ne sapessero una più del diavolo, mentre erano lì che camminavano nel corridoio.
Insomma,per farla breve, Alex era uno sfigato senza rimedio. Così si era arreso,anzi, in verità non aveva mai combattuto. Sapeva che tutto ciò faceva parte di quella misteriosa fase che è l'adolescenza. Il padre gliel'aveva detto: "Non pensare mai alla tua insegnante come a un oggetto sessuale. Io l'ho fatto, e mi s'è indurito così tanto che mi sono dovuto prendere a pugni sulle palle per farlo ammosciare!! Mi raccomando, mai pensare!"
E Alex gli aveva dato retta. Non pensava lui, non pensava mai a nulla. Ma, come ogni cosa, anche quello era un periodo destinato a finire.
All'epoca, Alex raccontò l'episodio all'infinito. Adesso, a ripensarci, non gli sembrava niente di eccezionale l'essersi fatto una del primo anno nel bagno delle ragazze, lui, il re degli sfigati che ormai si avviava verso quel mondo fatto di adulti monocolore.
Ma Alex aveva imparato dai suoi errori.
Era uno furbo lui, uno intelligente quanto basta per capire che un sorriso, una mano sul culo e un'altra con un vodka-martini pronto per essere offerto bastavano a far sciogliere qualsiasi inibizione.
Le ragazze cominciarono ad apprezzare quel suo sorriso vagmente malvagio, quella giacca di velluto ormai consumato; insomma, Alex finalmente s'era trovato la sua identità. Si, perchè lui mica si chamava così; mamma Clara l'aveva chiamato Ernesto e ogni volta il coro s'alzava:"Coglione destro, dov'è che hai lasciato Evaristo e Pasquale?". Alex, invece, gli piaceva e poi, ormai cell'aveva da troppo tempo.

"Mi sono rotto, basta, odio il mio nome!Devo fare qualcosa..."
"Si, quando sei "grosso" abbastanza vai e fattelo cambiare in Pasquale, voglio dire..la mazza centrale!", Rico lo continuava a prendere in giro sparpagliando cenere sulla coperta del suo letto.
"E smettila! Cazzo, dico sul serio. Ho deciso che mi farò chiamare Alex."
"E perchè, di grazia?"
"Come perchè? Perchè Ernesto è un nome di merda!è più vecchio di mio nonno che è del '12!!"
"Tuo nonno è del 12?! Cavolo, che ficata!"
"Ma chissenefrega di mio nonno adesso.."
"Senti, ma quindi tu se ti chiedono perchè ti fai chiamare così..che rispondi?" Rico lo guardò enigmatico.
"è ovvio. Gli rispondo che mi chiamo come quello di Arancia Meccanica!Vuoi mettere, questa si che è una ficata!!"
"Ma te dici il libro o il film?"
"Ma perchè, esiste pure il libro?"
"Bhe, mi pare di si..oh, ma io chennesooo!"
"Cioè, aspetta un attimo.."
"Ma che palle!Che c'è?"
"Ma..voglio dire, mica si chiamerà in un'altro modo quello del libro?No perchè se l'autore gli ha cambiato il nome, oh, giuro che lo gonfio!"

E così, trovata l'identità nuova, trovato un mondo nuovo.
Alex adesso è cresciuto, ha letto Arancia Meccanica e tante altre cose, e gira tutti i locali più assurdi della città con il suo fedelissimo gruppo di amici, nonchè compagni di casa e università, alla ricerca non del Tempo Perduto, ma dell'Amor Perduto, che, come gli insegnava il prete da piccolo, non va mai disperso n'è seminato in campi altrui!

La battaglia di Alex. Capitolo Uno.



Lunedì mattina ore 9.30
L'aula era piena, come al solito la gente stava seduta per terra, i banchi e le sedie non bastavano.
Là in seconda fila c'era Lei; perfetta come sempre. Alex la guardava mentre sfogliava gli appunti e ascoltava distrattamente la compagna seduta a fianco che, con ogni probabilità, le stava raccontando del solito ragazzo con cui (non) era stata la notte prima. Alex non capiva perchè le donne a volte esageravano con queste cazzate sugli incontri di una notte. Tanto non ci credeva nessuno. "Se Bea fosse una gnocca pazzesca potrei capirla, allora si che avrebbe chiunque!" Ma a questa idilliaca possibilità mancavano almeno 20 chili di meno e un parrucchiere decente che le sistemasse quel cespuglio biondastro che aveva in testa.
Alex si accontentò di un posto in fondo all'aula, seduto per terra, vicino a un ragazzo grassoccio e unticcio. Non gliene fregava niente di seguire la lezione di Letteratura del Novecento; a chi interessava delle vite di quei poveracci che dopo la seconda guerra mondiale avevano vissuto una qualche crisi d'identità e non si sentivano più parte di niente?
No, ad Alex interessava solo vedere Lei. Certo, sapeva che di possibilità non ne aveva nemmeno l'ombra, e che la carta buona l'aveva sprecata il primo anno,quando aveva offeso i poeti moderni cercando di spiegare che rime e allitterazioni e tutta quella robaccia, quelle si che erano creazioni artistiche!
"Che idiota! Mah, il caro Baudelaire sembra passato di moda! E dire che di solito ci cascano tutte; comunque, prima o poi il modo di portarmela a letto lo trovo! E allora vedremo che ne pensa di quel melenso francese del cazzo!"
Il povero Alex, però, ultimamente stava attraversando una fase di abbandono dei sentimenti di vendetta. I motivi potevano erano tanti. L'inizio dei corsi, gli esami, o forse la nuova assistente del Lunedì mattina. Eh si, quella si che era una professoressa! Preparata, allegra, giovane, occhiali, capelli raccolti, magliette scollate, lungo stacco di coscia...No, frena!Non poteva farlo, nà tantomeno pensarlo, perchè l'assistente di sicuro non sapeva neanche chi fosse, in mezzo a quel centinaio di persone. E poi se fosse finita in quel modo, cosa ne avrebbe pensato la sostenitrice del verso sciolto?La notizia si sarebbe sparsa troppo in fretta; no, doveva giocare d'astuzia, doveva abbandonarsi completamente all'idea di fare il bravo ragazzo. Due, forse tre mesi, e Susy sarebbe crollata.
Armi scelte per l'allenamento:
-un manuale di storia della Letteratura inglese
-una raccolta delle poesie d'amore più famose del mondo
-una rapida lettura alla critica sulla Austen
-una sana sbronza prima di sferrare il primo colpo!
Scarabocchiò una breve lista e quando la Prof.ssa Magli entrò in classe cercò di non pensare a quali problemi mentali avesse Joyce. Poi, in fondo, cosa c'era di originale in un idiota che vaga per Dublino? E soprattutto, oltre al fatto che tanto nessuno lo leggeva mai tutto, perchè quel dannato libro si intitolava Ulisse se il protagonista di nome fa Leopold Bloom?Forse, come suggerì qualche istante dopo, il detto protagonista era solo uno sfigato che non scopa con la moglie da una vita, proprio come Ulisse, che se ne va in giro per il mondo e abbandona la povera Penelope alla masturbazione, altro che tessitura!
Si.L'aveva fatto di nuovo.Bocciatura assicurata!
Era assolutamente necessario cominciare l'allenamento, altrimenti l'unica battaglia sarebbe stata quella per un 18 il giorno dell'esame.

sabato 13 ottobre 2007


Oggi posto questo racconto che ho scritto un po' di tempo fa, perdonatemi se è un po' lungo e tristarello...Non che sia bellissimo, ma tenerlo chiuso in una cartella del pc mi pare inutile...Com'è probabilmente inutile il fatto che io l'abbia scritto...Non so neanche più se mi piace,ma voglio farlo parlare comunque, di sicuro vi posso dire che ho cambiato il finale. Era troppo triste e sinceramente troppo sbrigativo!


L'uomo del Tram

Era un mattino sottile, stiracchiato tra le nuvole sobriamente disposte in cielo.
Il tram arrivò in ritardo di dieci minuti; era affollato, pieno di mattinieri lavoratori. L’odore del freddo era quasi impercettibile, lo si ritrovava solo nei giacconi consunti dei passeggeri. La strada scivolava veloce dai finestrini: case, alberi, visi, negozi, macchine. I passeggeri scendevano silenziosi, a mucchi, anime in processione verso la fine della vita. Poi, all’improvviso, T. lo vide: l’uomo era come assopito dal torpore della folla, stava seduto con un’aria assorta in pensieri complicati, ramificati.
Aveva tra le mani delle buste e un paio di fogliacci che erano evidentemente usati perché s’intravedevano righe d’inchiostro scritte con una calligrafia indefinibile. Indossava degli scarponi marroni infangati e consumati, senza lacci e logorati dal tempo. ‘Che sia un barbone?’ No, non poteva essere un barbone, non c’erano tracce di bottiglie mezze vuote, né quell’alone d’ebbrezza e dimenticanza che li accompagna di solito. No.
L’uomo sembrava provenire da un altro mondo, era diverso, ma non si poteva dire in cosa o perché; sembrava quasi evanescente, nei bagliori dei finestrini. La luce pareva carezzarlo e volerlo nascondere a occhi indiscreti, come fosse un figlio perduto da tempo e ora ritrovato.
Il tram era ripartito già da un po’, aveva fatto altre fermate, ma l’uomo era rimasto seduto. Per tutto il tempo la testa era rimasta china e non se ne capivano i motivi. Non un solo muscolo s’era mosso, persino il respiro era impercettibile, come se a lui non servisse ossigeno per vivere, che i morti non ne hanno bisogni. Forse era questo, forse era morto e nessuno, intorno, l’aveva capito. O magari era semplicemente un poveruomo che si prendeva una pausa dalla vita.
In lui, però, c’era qualcosa, una specie di incanto, di magia, una magica poesia che talvolta si ritrova nei volti degli sconosciuti. Il viso dell’uomo, tuttavia, era appena visibile da sotto uno strambo cappello, così ampio da lasciar scoperto solo il mento. Era un bel mento, aveva di certo molto da raccontare e senza dubbio aveva viaggiato molto, ma allora com’era possibile che ora stava in bilico tra la vita e il sonno su una poltrona lurida d’un tram?
Ipotesi se ne potevano fare tante, troppe, così, come succede in questi casi, T. decise di non voler indagare, e di continuare a fantasticare su quel buffo signore che, raggomitolato come un gatto, riposava in pace in fondo al tram.
Era quasi arrivato a destinazione, mancavano solo cinque fermate, e il tempo non sarebbe affatto bastato a fargli scegliere se rinunciare a scoprire chi fosse l’uomo o se svegliarlo e almeno vederlo in faccia. T. non aveva tempo e invidiava quel tipo che poteva girare tutto il giorno senza preoccuparsi degli orari, godendosi il lento ronzio del motore del tram, la gente che mormora mentre aspetta di scendere, la strada che scorre sotto. Decise di scendere senza svegliarlo, pensò che forse era così che doveva andare, che se ci avrebbe dovuto parlare allora l’avrebbe incontrato quand’era sveglio.
Per tutto il giorno, a lavoro, T. non fece che pensare all’uomo del tram. Non capiva come mai quell’immagine l’avesse colpito così tanto.
La giornata, difficile e faticosa, passò lenta ma indolore, d’altra parte T. faceva uno di quei lavori che dopo un anno già cominci a odiare, e lui, infatti, lo odiava. E odiava se stesso per aver scelto la strada più semplice e aver accettato di chiudersi per 10 ore al giorno in un palazzo asettico e freddo, dove anche la pausa caffè era un’applicazione di buone maniere. Ripensava spesso a quando, da ragazzo, avrebbe voluto girare il mondo; tutti vogliono farlo, ma solo alcuni lo fanno davvero. Era un’idea che ogni tanto gli tornava in mente, ma ci sarebbe voluto un vero incantesimo per smuoverlo dall’ingranaggio in cui s’era incastrato, e lui non aveva più le forze per uscirne da solo. Ma, tutto sommato, T. non era così infelice, a volte riusciva ancora a sorridere e a immaginare, fantasticare, ed era proprio quello che gli era capitato quella mattina sul tram.
Il tram.
Di nuovo pensò a quell’uomo, e sorrise.
La sera avrebbe dovuto prendere di nuovo il tram e così si domandò se l’avrebbe incontrato ancora. Uscì felice e quasi eccitato dal palazzo e arrivò alla fermata. Quando in lontananza vide arrivare il tram, decise che questa volta avrebbe svegliato l’uomo, ci avrebbe parlato e magari gli avrebbe offerto un caffè, o un tè caldo in qualche caffetteria.
Forse avrebbe scoperto che quel tipo era uno che viaggiava in giro per il mondo e avrebbe deciso di partire con lui, finalmente, e di lasciarsi tutto alle spalle perché, lo sapeva, era l’unica cosa giusta da fare. Giusta per lui.
Il tram si fermò e T. cercò l’uomo in vano: il sedile era vuoto e di lui non c’erano tracce.
Sorridendo per aver pensato di poterlo incontrare di nuovo, si sedette e aspettò di tornare a casa, ancora una volta, come ogni giorno.
Ma qualcosa era cambiato, i giorni seguenti T. sperò di incontrare ancora l’uomo del tram e ogni volta che saliva i gradini e non lo vedeva si sentiva strano, un misto tra il felice e il depresso. Pareva quasi che quella fosse stata davvero un’apparizione e T. cominciò a pensare che l’uomo fosse un presagio, che volesse dirgli qualcosa, ma non seppe cosa finché, una mattina che pioveva a dirotto, il tram passò, con il solito ritardo.
La folla salì. La folla scese.
Ma T. quella mattina era in ritardo, cominciò a correre e ce l'avrebbe fatta perchè il tram era ancora fermo. All'improvviso lo vide.
L'uomo del tram era lì, dall'altra parte della strada che guardava la folla correre contro il tempo. Sorrise e poi si voltò, con quello strano cappello sempre calato sulla testa.
T. lo guardò, e improvvisamente il tram ripartì, carico dei dannati da portare ai loro gironi infernali. Così T capì che non doveva più correre e che l'uomo del tram non lo avrebbe mai più rivisto.
Dall'altra parte della strada, ora, c'era solo un cane che zampettava sul bordo del marciapiede.

venerdì 12 ottobre 2007

Salinas, Presagios

L'anno scorso ho avuto il piacere di fare una tesina su Pedro Salinas, poeta spagnolo dei primi del Novecento.
Su Internet si ha la fortuna di trovare molte notizie, spesso molti testi. Ma questa raccolta, Presagios, risalente al 1923, non è tra le più conosciute. Personalmente l'ho trovata di una bellezza disarmante.

Acqua calma e fresca. Apro la porta con questa poesia, seguita da una traduzione di Guazzelli con cui ho fatto alcuni paragoni nelle note della mia versione.

42
En la tierra seca
el alma del viento
avisos marinos me daba
con los labios trémulos
de chopos de estío.
Alientos de mar
y ansias de periplo,
quilla, proa, estela,
Circe y vellocino,
todo lo mentían
chopos sabidores
de la tierra seca.
Y una nube blanca
(una vela blanca)
en el horizonte,
con gestos de lino,
alardes de fuga
por rumbos queridos
hacía
en el mar sin viento
de aquel cielo seco
de la tierra seca
con chopos de estío.

Nella terra secca
l’anima del vento
segnali marini mi dava
con le labbra tremanti
di pioppi d'estate.
Sospiri
[1] di mare
e ansie di viaggio[2],
chiglia, prua, scia,
Circe e il vello,
su tutto mentivano
i pioppi saggi[3]
della terra secca.
E una nube bianca
(una vela bianca)
all’orizzonte,con movenze[4] di lino,
ostenta[5] la fuga
per amabili rotte
faceva
nel mare senza vento
di quel cielo secco
della terra secca
con pioppi d’estate.

[1] Alientos, cioè aliti, respiri, sospiri. Guazzelli sceglie di mantenere la traduzione più letteraria e sceglie aliti; io ho preferito sospiri
[2] Periplo, perielio, viaggio, periplo. Guazzelli mantiene periplo mentre io ho preferito il termine viaggio perché si allude all’ansia di partire. Il numero di sillabe, nell’originale sei, risulta essere di sette.
[3] Sabidores, cioè sapienti, saggi. Guazzelli opta per la prima soluzione, mentre io ho preferito la seconda, a mio avviso più poetica.
[4] Gestos, cioè gesti, movenze, movimenti. Guazzelli sceglie di tradurre gesti, più vicino al testo originale. Io ho preferito movenze poiché mi sembrava più elegante.
[5] Alardes, ostentazioni. Ho preferito tradurre ostenta per avvicinarmi di più al numero di sillabe, sei.


Così, invece, traduceva il citato e bravo Guazzelli.

Nella terra secca
l’anima del vento
segnali marini mi dava
con le labbra tremule

dei pioppi d’estate.
Aliti di mare
e ansie di periplo,
chiglia, prora, scia,
Circe e il vello,
in tutto mentivano
i pioppi sapienti
della terra secca.
E una nube bianca
(una vela bianca)
nell’orizzonte,
con gesti di lino,
ostentazioni di fuga
per rotte amate
faceva
nel mare senza vento
di quel cielo secco
della terra secca
con pioppi d’estate.

Schegge

Quando mi va di descrivere senza ... scrivere!

Enjoy!
(Dunluce Castle, Irlanda del Nord. Estate 2007)


(Dundrum Castle, Irlanda. Estate 2007)


(Gatto a MonasterBoice, Irlanda. Estate 2007)


(Lia Fail, Hills of Tara, Irland. Estate 2006)


(Rovine di una chiesa abbandonata, da qualche parte in Irlanda. Estate 2006)


(St. Stephen Green, Dublin, Ireland, Estate 2006)

"Insomma, lo facciamo sul serio?", BJ alzò lo sguardo incuriosito.
"Senti, se non ti regge, puoi sempre lasciar perdere...', rispose ingrugnito lo Smilzo.
"Però pensaci bene, ormai siamo pronti, la cosa si può fare con tranquillità..In fondo se non cominciamo mai..."
BJ rigirò il leccalecca ancora chiuso tra le dita. Gusto banana.
"Va bene, ci sto!Dimmi dove e quando. Ci vedremo lì"
Lo Smilzo diede una sonora pacca sulla spalla dell'amico e gli diede l'appuntamento.
Ore 19.00, davanti al negozio di dolci e caramelle su via del Corso. Lo conosci? BJ lo conosceva, qualche anno prima aveva avuto un'intossicazione alimentare per colpa di troppe caramelle a forma di banana, che aveva ingurgitato nel giro di venti minuti proprio davanti a quel negozio.
Erano cresciuti insieme. Si conoscevano da sempre BJ e lo Smilzo. S'erano scelti loro i soprannomi; i veri nomi non li dicevano mai a nessuno e quando le rispettive nonne gli facevano visita la domenica a pranzo, odiavano essere strattonati come bambolotti. "Carletto, nipotino mio!" e BJ nel frattempo cercava di dimenarsi da quella tenace morsa che era l'abbraccio di Nonna Rosa. Lo stesso valeva per lo Smilzo. Anche sua nonna si chiamava Rosa, ma era il diminutivo di Rosalinda.
I pranzi della domenica, però, non erano solo torture gratuite di baci e abbracci, erano il momento in cui le nonne donavano. Regalavano amore e coccole, ma regalavano anche "soldini per i loro nipotini". Mica male come compromesso.
Nonna Rosa, la nonna dello Smilzo, era morta il mese prima. I genitori non gli avevano spiegato bene per quale motivo, in fondo aveva solo 13 anni ed era ancora troppo piccolo. Ma Mattia, che si faceva chiamare lo Smilzo, aveva capito che di regali da sua nonna non ne avrebbe più avuti. Nè avrebbe più avuto le sue coccole in formato pressa.
Rubare. Se non aveva i soldi si sarebbe preso quello che voleva così. E poi lo facevano tutti. I grandi, i piccoli, i loro amici.
Non avrebbero svaligiato certo una banca o la posta, lo Smilzo sapeva bene che dovevano puntare a qualcosa di più innocente, qualcosa di cui poter far sparire le prove in fretta e senza destare sospetti.
Erano le 19.05, BJ era in ritardo.
Lo Smilzo lo vide arrancare tra la folla, la bicicletta sgangherata. Doveva aver avuto un qualche tipo di incidente. BJ disse no, nessun incidente. Ma il padre, mentre faceva retromarcia nel Box auto, aveva spiaccicato la sua bici contro il muro e si era ammaccata.
In strada c'era parecchia gente, era sabato pomeriggio.
"Come facciamo a filarcela in fretta con tutte queste persone?E se mettiamo sotto qualcuno?"
"BJ, che palle! Insomma, muovi il tuo culone e seguimi, vedrai che ce la facciamo!E poi come si fa a mettere sotto qualcuno con una bicicletta!!?"
Dieci minuti dopo, Lo Smilzo uscì trafelato dal negozietto, con in mano un grosso pacchetto pieno di caramelle, alle sue spalle, vide BJ che sgomitava tra i clienti.
"BJ muoviti!Accidenti!"
"Arrivo arrivo!"
"Ehi, ehm, ragazzo, mi fai vedere lo scontrino per favore?!"
Oh merda! BJ si fiondò fuori dal negozio ed era appena salito sulla sua bicicletta quando lo Smilzo gli gridò dietro
"Ehi, BJ, l'hai preso il ciuccio?"
"Il ciuccio?Oh dico, questo mi sa che ci ha beccato e tu pensi al ciuccio?"
"Cacchio BJ, adesso torni dentro e prendi quel cavolo di ciuccio! Te l'avevo detto, il ciuccio è fondamentale!!Almeno uno a testa!Corri muoviti!"
Due secondi dopo, BJ usciva dal negozio di corsa,un ciuccio gelatinoso in bocca e un'altro nella mano sinistra, col negoziante che aveva cominciato a gridare di fermarli a qualcuno non ben precisato I due inforcarono le biciclette e via di corsa verso la metropolitana. Il negoziante gli correva dietro lanciandogli appresso barattoli di plastica vuoti. I ragazzini, però, avevano imboccato una delle viuzze laterali ed erano spariti sulle loro bicliclette.
Ciuccio in bocca, i due ce l'avevano fatta.
La loro prima rapina! Niente soldi, ma la sensazione che provarono quando finalmente si fermarono a riposare, fu identica alla stretta dell'abbraccio di nonna Rosa.
Dolce come il ciuccio rubato!

giovedì 11 ottobre 2007

Shakespeare, Romeo e Giulietta..e Giovanni Bivona!

Di teorie sulla sua vita ce ne stanno a bizzeffe. La più accreditata è quella che ci insegnano a scuola, o all'Università. Oppure se prendiamo in mano una buona bigrafia della sua vita.
Ma la verità è che non si sa tutto. E la cosa divertente è scoprire teorie come la vaga ipotesi che fosse una donna. Eh si, perchè si sente anche di questo. C'è chi, leggendo i suoi sonetti e arrivando a quell'incriminato HE, c'è chi ha cominciato a domandarsi anche se l'identità sessuale del vate inglese sia accreditabile o meno. Certo, l'idea che potesse essere una donna sembra bellla...Ma allora cosa capiamo quando poi si arriva a leggere quell'altrettanto famoso sonetto sulla mitica Dark Lady?Oh Mio Dio! Shakespeare che era donna era anche lesbica? Bha...Preferivo rimanere all'ipotesi vaga di omosessualità (ma non era sposato con una cosa tipo otto figli?), oppure a quella più da cronaca nera che vedeva nella morte di Marlowe, drammaturgo contemporaneo a Shakespeare e spia della Casa Reale, la nascita del personaggio Shakespeare.
Sta di fatto che qualcuno ha scoperto una verità su di lui, o meglio, ha scoperto cosa voleva veramente dirci quando ha scritto Romeo e Giulietta!
Io ne sono rimasta illuminata a dir poco!!! Grazie Bivona!
Godetevela!
PS Ringrazio Il Branda che ha postato questo video sul nostro Forum!

To be or not to be. That is the question!


Essere o non Essere.

La conosciamo tutti!!!

In questo strano blog, ho deciso di non infilarci solo piccoli racconti, o poesie, o chiacchiere; ho pensato di lasciare un piccolo spazio anche ad alcune traduzioni. Non so ancora cosa ne verrà fuori, ma spero che vi piacciano!Apro la porta con il primo dei sonetti del caro zio Willy!E premetto che ne seguiranno anche altri!


Enjoy!

1
From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty’s rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory:
But thou, contracted to thine own bright eyes,
Feedst thy light’s flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.
Thou that art now the world’s fresh ornament,
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, makst waste in niggarding.

Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world’s due, by the grave and thee.

(Dall'edizione della Arden, Shakespeare' Sonnets)

Dalle più belle creature desideriamo accrescimento[1],
Così che tal bellezza della rosa mai non muoia,
Ma come il frutto con il tempo marcisce
[2]
Il suo tenero erede ne conservi memoria:
Ma tu, legata ai tuoi occhi luminosi,
Ammansisci la fiamma col tuo fluido,
Mietendo carestia dove abbondanza giace,
Nemico a te stesso, troppo crudele al tuo dolce io.
Tu che ora del mondo sei fresco ornamento,
E unico messaggero della gaia primavera,
Nel tuo germoglio seppellisci te stesso,
E, tenero avaro, fai spreco in avarizia.

Compatisci il mondo, o così ingordo sarai,
Da divorar ciò che, con te e la tua fossa, gli dovrai.


[1] Il verbo “increase”, che significa riproduzione, è stato qui tradotto come “accrescimento” poiché ci sembrava mantenere meglio non solo il significato, ma anche la metrica.
[2] Il verbo “decease”, che significa decadere, putrefarsi, è stato tradotto con “marcisce” in riferimento all’idea del frutto, che appunto marcisce, muore.


(Foto, Libreria Shakespeariana, Parigi, Notre Dame.)

mercoledì 10 ottobre 2007

Kiwi


Si chiamava Kiwi.
O almeno così la chiamavo io. Io il suo nome vero non me lo ricordo, ma Kiwi mi piace.
Sa di verde. E di qualcosa di vagamente esotico.
Lei non era affatto verde; vestiva di nero e viola, ed era bianca come un cadavere, come in quei film dove ci sono cadaveri.
Aveva un impermeabile con dei grossi bottoni e una cinta; le stava male, l'allungava come una giraffa e la faceva sembrare una sottile ombra addensata non si sa in quale modo.
Ricordava vagamente l'ombra di Peter Pan, quella del cartone Disney.
Da piccola mi piaceva, ora non mi piace più.

Kiwi aveva queste scarpette tipo ballerina, come vanno adesso; anche quelle nere. Con un bordino bianco tutt'intorno.
Una canottiera viola acceso che le risaltava il pallore della pelle.
Non aveva molto seno, era magra come un manico di scopa. A dire il vero, Kiwi sembrava un manico di scopa. Con quei capelli lunghi e rovinati da troppi lavaggi, la frangetta appiccicata sulla fronte e tutta storta.

Ma Kiwi, di cui no ricordo il nome, si chiamava così per una pura casualità e quella sensazione di esotismo che si nasconde dietro il nome, lei se la portava dietro, da paesi lontani.
Viaggi?
Forse.
Kiwi veniva da quella parte di mondo che non è di nessuno, era figlia dei tempi moderni, certo, ma in lei si manteneva vivo quel senso di libertà che tutti cerchiamo, disperatamente.
Kiwi lavorava per un qualche ente artistico, o che si occupava d'arte. Se fosse stata ricca, avrebbe comprato certo uno di quei quadri che tutti conosciamo, uno di quelli di cui abbiamo la stampa, pagata 20 euro, attaccata in casa.

Kiwi Carota.
Un nome buffo. Il suo nome buffo.
Quel giorno eravamo frastornati ma lei sembrava la più calma. Pareva attendere il momento in cui qualcosa di diverso sarebbe accaduto. Un po' come il kiwi aspetta di essere mangiato una volta raccolto.

Non ricordo come si chiamasse veramente, ma Kiwi Carota aveva qualcosa che nessuno di noi, in quella stanzetta, poteva capire.
Kiwi Carota era l'immagine esotica e un po' distorta di un sogno fatto tante notti prima.

Spero di sognarla ancora, la mia Kiwi Carota.

martedì 9 ottobre 2007

Fili d'Erba


Ancora pochi passi e sarebbe arrivato al punto più alto del promontorio.
Colin, sigaretta tra le labbra, giacca in spalla, procedeva lento su per la salita.
Il panorama, già da qualche minuto, s'era fatto più ampio e si poteva vedere la città in lontananza. C'era ancora luce, nonostante fosse pomeriggio inoltrato.
Mentre saliva, aveva incrociato una famigliola che stava invece scendendo, per tornare alla macchina. Colin pensò a quale tipo di casa potessero avere, sicuramente una villetta in uno di quei quartieri con le villette a schiera color mattone e la porta in legno verniciata di verde. Per un attimo, incrociando gli occhi del padre di famiglia, un signore giovane sui 35 40 anni, si sentì sollevato di non aver nessuno a cui pensare.
Adesso, ne era certo, il promontorio era tutto per lui, il paesaggio non lo avrebbe condiviso con nessun altro.

Aveva parcheggiato la macchina non troppo lontano e di proposito, visto che non era un posto molto frequentato a quell'ora, aveva lasciato i finestrini aperti e la radio accesa, così da poterla sentire una volta arrivato in cima. Adesso lo speaker raccontava di un nuovo ristorante molto chic aperto la settimana prima.
Mancavano ancora pochi metri.

La vista da lì era splendida, ora il cielo sembrava rame lavorato e dipinto a mano a tinte calde, rosa, rosso, e poi, laggiù, la città.
Somebody to love ruggeva dal finestrino della radio, espandendosi nell'aria.
Colin sentiva come una voce fantasma aleggiare intorno a lui.
'Qualcuno da amare', pensò. Qualcuno.
Già, ma chi? E soprattutto, perchè amare qualcuno che prima o poi sparira come spariscono e finiscono tutte le cose belle?

Era arrivato il momento.

Colin accese la sigaretta.
Ride the wild wind echeggiò con l'alzarsi della brezza fresca delle cinque di pomeriggio.
'Questa volta', pensò, 'Questa volta sono pronto, ce la farò.'

Passò distrattamente una mano tra i fili d'erba, annusò l'odore delle dita sporche di terra bagnata, annusò l'aria, si riempì i polmoni col fumo e lo sbuffò fuori facendo un cerchio piccolo ma perfettamente formato.

Mentre il sole calava, Colin stava sdraiato nel campo, a guardare le ente nuvole muoversi in una corsa millenaria.
La lettera sgusciò fuori dalla tasca della giacca, insieme alla pistola, un ferrovecchio di cui non sapeva nemmeno il nome, il tipo.
Si ricordò di quando col fratello lo trovarono nel campo del nonno, sotterrato vicino a un albero.

Allungò una mano e prese il ferro gelido al tatto.
Gelo.
Era la sensazione giusta.
Una morte rapida e gelida, in un nido caldo e pacifico, eterno.

Spenta la sigaretta, Colin bruciò una fotografia vecchia, quasi del tutto sbiadita; infilò per bene la lettera nella tasca della giacca, si alzò in piedi.

Il sole era quasi sparito ormai, e le luci della città stavano pian piano offuscando le stelle che di lì a poco sarebbero comparse in cielo.

Era libero ora.
Felice.
E il momento era finalmente arrivato.

Strappò una manciata di fili d'erba, li guardò e poi se li infilò in bocca, pensando 'Il mio ultimo pasto, la terra. Grazie.'

Bang.

Aprire

Aprire una porta può a volte risultare difficile.

Se state per aprire questa, devo avvertirvi.
Se pensate di trovare una traduzione di questa espressione avete sbagliato porta.
Se pensate di trovare un significato filosofico a questa espressione avete sbagliato porta.
Se pensate di trovare una rivelazione dietro questa porta avete sbagliato porta.

Siete stati avvisati.

Buona navigazione.

Ele