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Da sempre, e per qualche strana ragione, molti di noi restano affascinati dall’horror; una reazione del genere apparentemente può sembrare curiosa, quasi buffa, se ci si ferma un istante a riflettere sui motivi. In seconda battuta, però, sembra piuttosto naturale se si pensa all’horror – sia esso rappresentato in un libro o in un film e via dicendo – come a un veicolo per esorcizzare il Male, le paure che ci circondano e che nascono nuove e diversificate ogni giorno in tutto il mondo.
È naturale, perché l’uomo da sempre cerca e trova mezzi attraverso cui andare avanti, strumenti e veicoli che gli permettano di convivere col reale quand’esso non trova una spiegazione razionale o immediata.
Tim Lucas, esperto in materia, ha voluto regalare al lettore un testo aperto a molte letture, ricco di temi e di sentimento, un momento di riflessione sull’individuo.
The Book of Renfield: a Gospel of Dracula non è un libro dell’orrore, né tantomeno un libro sui vampiri: Il Libro di Renfield è il Vangelo secondo Dracula, come suggerito dall’autore nel sottotitolo. Affrontare la traduzione di questo testo è stato molto impegnativo perché vanno fatti i conti con tanti fattori. Per prima cosa analizziamo il titolo.
La scelta di lasciare Il Libro di Renfield anziché Il Diario, ad esempio, è significativa. Il testo è suddiviso in due parti e nella Coda finale; ognuno di questi tre elementi riporta delle citazioni di natura biblica, caratteristica che ritroviamo un po’ in tutto il testo e che è in stretta relazione con la storia narrata da Renfield stesso. Dunque, Il Libro di Renfield è un po’ come Il Libro della Rivelazione e la traduzione ammicca volutamente in quella direzione, che è sembrata essere in molti casi anche un’importante chiave di lettura. Inoltre, pensando al sottotitolo, è Renfield stesso a definirsi “Vangelo”, in un piccante scambio di battute col dottor Seward.
Questa caratteristica, per così dire “religiosa”, la ritroviamo anche quando traduciamo Lord and Master – appellativi che Renfield usa quando allude a Dracula – con Padrone e Maestro e con Signore e Padrone o Signore e Maestro. La prima coppia viene attribuita quasi sempre a Renfield, che parlando con Seward cerca in ogni modo di nascondere la vera natura di questo Lord, facendogli credere di riferirsi a Dio. In italiano la dualità di significato del termine lord è stata diversificata in base ai personaggi che utilizzano questa parola. L’ambiguità e la difficoltà di questa scelta è data anche dalle varie citazioni bibliche che, come accennavamo, compaio qua e là nella narrazione. Renfield, cresciuto in una canonica, sembra conoscere bene le Sacre Scritture anche se spesso storpia le citazioni, rendendo il lavoro di riconoscimento e di inserimento della traduzione talvolta difficile; l’uso che fa del termine lord è ambiguo anche alla luce della storia della sua vita, ma di certo non è mai casuale ed è, allo stesso tempo, ben distinto dall’uso che ne fa, ad esempio, il dottor Seward.
Tim Lucas, attraverso Renfield, cita anche testi come Vanity Fair, Tristram Shandy, brani tratti dalle Lyrical Ballads di Wordsworth, o frasi rubate a Shakespeare, arricchendo la narrazione con piccoli particolari che contribuiscono a caratterizzare l’atmosfera e a definire un’epoca.
A proposito di atmosfera e di epoca, non si può definire Il Libro di Renfield un romanzo vittoriano, ma l’ambientazione, quando compare carica di aggettivi, particolari e luoghi, si trascina dietro tutto il fascino e le atmosfere di quell’epoca, di quei romanzi che occupano una parte tanto importante nella letteratura inglese. Tradurre elementi di questo tipo è stata una scommessa, perché ogni piccola parola, ogni aggettivo contribuiva a dipingere un’immagine importante perché parte della cornice in cui si inserisce la storia di Lucas.
Tra i tanti, gli aggettivi che caratterizzano maggiormente il romanzo sono quelli riferiti ai colori. La notte, con le sue sfumature di blu scuro e nero, ha un peso determinante per Renfield e sembra avvolgere anche il lettore, trascinato nel turbinio di notti di luna piena, vortici di pipistrelli e stelle luccicanti, in un quadro che ha talvolta del poetico, dell’inquietante e del surreale assieme. Ed è forse questa una delle caratteristiche più belle dello stile di Lucas.
L’autore, infatti, fa un’operazione incredibile, inserendo brani da Dracula, approfondendo personaggi già esistenti, costruendo ambientazioni e situazioni che in tutto e per tutto omaggiano Bram Stoker. Le citazioni – evidenziate per scelta di Tim Lucas in grassetto – sono state ritradotte, tenendo presente come riferimento la traduzione italiana di Paola Faini[1]. La scelta è stata presa di comune accordo con l’editore – Gargoyle Books – e, per quanto sia stato impegnativo e difficile affrontare in parte il romanzo di Stoker, mi ha dato la possibilità di confrontarmi con uno grande classico. L’inserimento di questi brani originali, tuttavia, è stato semplice perché Lucas è riuscito a mantenersi in linea con lo stile di Stoker, inserendo in modo intelligente il suo stile personale.
L’operazione fatta da questo autore è sicuramente interessante perché non si limita alla citazione grezza dei brani, ma sceglie di ricalcare le orme di Bram Stoker anche nella struttura del suo romanzo e nelle caratteristiche che l’hanno reso tanto celebre. Ritroviamo, infatti, l’uso delle pagine di diario e delle datazioni che da sempre distinguono Dracula; c’è poi una grande attenzione ai dettagli, anche i più piccoli, che ricorda tantissimo lo stile di Stoker e che rende densa la narrazione. L’uso del dettaglio gioca un ruolo importantissimo: tramite le descrizioni minuziose, infatti, Lucas riesce di pagina in pagina a delineare un profilo psicologico di Renfield davvero profondo e sfaccettato, dando a quello che era solo un personaggio secondario uno spazio proprio. Tradurre questi elementi, dunque, non è solo un esercizio linguistico, che ci porta a scegliere termini ricorrenti che fungono da base solida agli altri, ma si è dovuto fare un vero e proprio lavoro di analisi sui toni, i modi e la “filosofia” del protagonista del romanzo. Altro elemento interessante e di rilievo per la traduzione è la scelta di non mostrare mai il Conte – un po’ come accade in Stoker – ; questo fattore porta la traduzione a distendersi e ad ampliarsi nella scelta di termini ricorrenti ma sempre molto vari. Tutto sembra scandito da parole chiave, momenti che si rivelano topici per il protagonista e che puntano dritto alla fantasia del lettore che finirà inevitabilmente per stare dalla parte di quello che, tutto sommato, è solo un folle rinchiuso in un manicomio.
Ed è proprio al lettore che si è pensato quando, d’accordo con l’editore, sono state inserite delle brevi note. L’uso che se ne è fatto, comunque, è stato limitato, per non appesantire la lettura; la scelta si è rivelata utile perché ci ha dato la possibilità di aiutare il lettore laddove il testo di Tim Lucas si rivelava meno comprensibile per un pubblico italiano.
Il lavoro svolto è stato di certo molto impegnativo e serio, non solo per le caratteristiche talvolta delicate del romanzo, ma anche per la scelta dei termini, che in un testo del genere sono fondamentali per rendere certe atmosfere e trasmetterle al lettore senza rischiare di appesantire la lettura.
[1] Dracula, Bram Stoker, Newton Compton, Roma 2009, Introduzione di Riccardo Reim, cura e traduzione di Paola Faini. Edizione integrale.
Parole famosissime che di certo sono rimaste e rimarranno impresse nella memoria di infiniti lettori che hanno avuto o che avranno tra le mani Dracula di Bram Stoker.
A pronunciare questo monito, questa incredibile verità, è Renfield, personaggio secondario che in Dracula ci regala un velato assaggio di come il Conte sia capace di avvelenare corpo e mente delle sue ignare vittime.
Non ha bisogno di presentazioni, Dracula, né serve ricordare quale fu la mente che generò un tale indiscusso capolavoro gotico, che a oggi è tutt’altro che dimenticato. Dracula e Bram Stoker sono quasi un’unica creatura, al punto che il Conte stesso è divenuto sinonimo di vampiro, alimentando l’iconografia e l’immagine collettiva per trasformarsi, infine, in simbolo.
Il Non-Morto per eccellenza è una di quelle figure che porta il lettore – o lo spettatore, vista la ricchissima produzione cinematografica – a confrontarsi con misteri primordiali come il sangue, la morte, la passione, l’amicizia, l’amore. È curioso osservare come un personaggio che di fatto quasi non compare nel libro, sia riuscito a generare creature e mondi, ispirando autori un po’ ovunque e diventando, in un certo senso, beniamino di tutti.
Certo, va ricordato che Stoker non fu l’unico a scrivere di “mostri”, tra i tanti basta ricordare Le Fanu, con la sua famosissima Carmilla; eppure in quelle atmosfere vittoriane, nelle pagine di diario ricche di dettagli e di sentimenti vivi, Stoker ha saputo consegnare al mondo una creatura che ancora ci tormenta, nel bene e nel male. L’ansia che Dracula ci lascia addosso, fino all’ultima pagina, è giustificata da molti fattori, ma uno significativo su cui riflettere è proprio l’assenza del cosiddetto cattivo, che compare solo in qualche pagina all’inizio del romanzo. È come dire: “Il male c’è, e l’avvertiamo con il crescere dell’angoscia, ma non siamo in grado di vederlo, non sappiamo che forma abbia, né come combatterlo”. Dunque, abbiamo di fronte un Male quasi allo stato puro, ancestrale nel suo genere. I protagonisti scelti da Stoker non sono altro che esempi di umanità, delle debolezze, dei sentimenti, delle paure e del coraggio che siamo capaci di provare; quello in cui si trovano catapultati, in realtà, è una sorta di rito di passaggio privo, però, dei suoi elementi cardine.
Il lettore, proprio come i personaggi, è spinto ad andare avanti a qualsiasi costo; è costretto a vedere la realtà e l’irrazionalità generata dall’incredulità di fronte a eventi di questo genere. Forse è per questa sincerità di fondo che Dracula affascina ancora oggi, in un mondo dove bisogna reinventarsi vampiri per sentirsi vivi.
Se la paura, l’angoscia, sono le vene attraverso cui scorrono e si alimentano i sentimenti in libri come Dracula o, più in generale, nei libri horror, credo si possa fare un parallelismo con le paure e le angosce che oggi ci circondano.
Tim Lucas sceglie questa strada, facendo un incredibile e avvolgente omaggio a Stoker e rispolverando un’ambientazione, quella vittoriana, che ancora oggi gode di grande fortuna.
Non ci troviamo davanti a una semplice ispirazione, a un romanzo ombra, né tantomeno dobbiamo pensare a quest’opera come a un esempio di horror o di storie sui vampiri. Non c’è solo questo in Renfield; si tratta per lo più di un’esplorazione, del voler capire come il Male – sia esso un personaggio di fantasia o un evento reale – possa governare la nostra mente, spingendoci in luoghi magici e perversi insieme.
Renfield e il dottor Seward – altro prestito da Bram Stoker – saranno le nostre guide in quello che è il racconto della vita di Renfield, costellato di pazzia, passione e tristezza; ci guideranno in un’analisi della follia di chi è schiavo del Male fino al punto di venirne divorato nella mente, nell’animo e nel corpo. Sappiamo bene che fine farà Renfield, ucciso dal suo stesso Padrone e Maestro, ma quello che ci sfugge sono gli eventi che l’hanno portato a quella fine. Lucas sceglie di fare un omaggio al Vampiro, descrivendo la follia di Renfield in un racconto appassionante e struggente, e a Stoker, utilizzando quei toni e quelle strutture caratteristiche che lo resero immortale.
I temi affrontati sono innumerevoli: dall’abbandono all’adozione, dalla religione alla blasfemia, dalla solitudine al bisogno di appartenenza, dalla follia mentale a quella reale, dalla morte all’amore e all’amicizia e via dicendo. Di pagina in pagina sembrano sgorgare tra le righe come un fiume in piena, fino ad avvolgere il lettore in uno stile semplice e intelligente, profondo. Non mancano numerose citazioni bibliche, come a ricordare che se esiste il Male allora dev’esserci anche il Bene, e qualche citazione letteraria, da Shakespeare a Worsdworth, ma Tim Lucas cita soprattutto Bram Stoker e riesce a catapultarci in un altro mondo, in un’altra epoca, mostrandoci come le paure di allora siano le stesse di oggi. Ora, forse, siamo soli, ognuno con le proprie tragedie, angosce e paure, ma tutti stranamente uniti quando il Male si manifesta e il sangue sembra scorrere più forte, quando il sangue diventa vita anche di fronte alla morte.
Il messaggio forse è proprio questo, come scopriremo leggendo la brillante idea sviluppata nella Postfazione, ma ricordiamo sempre che “il mondo sembra pieno di brav’uomini, anche se è pieno di mostri”.
sabato 12 giugno 2010
venerdì 7 maggio 2010
Ecco, i giorni passati.
Sgattaiolo nell'altra casa. Di là, come l'ho sempre chiamata.
Non c'è luce, ma non ne ho bisogno per camminare senza far rumore.
No, non perché ho il cellulare a farmi luce; non ne ho bisogno perché è casa mia e ricordo ogni angolo
di quel posto. Ne ho una foto stampata nella mente.
Ecco sì, proprio una foto.
Fuori tuona, ed è l'unico rumore insieme alle ciabatte che strusciano sui cartoni a terra, che coprono il parquet.
Vedo una birra cadere, del vino sparso, pop corn, patatine e mille altre cose che in realtà non ci sono.
Le righe sul legno sono solo coperte; sono quelle lasciate dalle sedie strusciate, quelle del tempo.
E poi, al buio, mi rendo conto che ne è passato parecchio e che la mia casa c'è, ma non c'è più.
Mi accorgo all'improvviso che non avrò più la mia camera, ah, quanto avrebbe da raccontare.
Capisco che non avrò più la cucina, con quello sportello ad angolo dove non arrivavo mai a prendere i bicchieri di plastica.
E un mucchio di altre cose che non sto a dirvi.
Sorrido, pensando che forse tra qualche mese avrò una macchinetta del caffé che farà un caffé decente che io, comunque,
non berrò e che, come ai vecchi tempi, probabilmente non preparerò più per i miei amici.
No, non è perché non glielo offrirò, ma è perché i miei amici sono i miei fratelli, una parte della mia famiglia e quindi sono a casa loro
se vogliono prepararsi il caffé.
Ecco. La foto che ho in mente è questa e al diavolo il buio e le parole.
Al diavolo le foto vere, quello che non si cancella sono i ricordi e quindi il tempo non passa.
Non ricordo da quanto ci conosciamo, non mi importa più, non ha più molto senso in alcuni momenti.
Non ricordo quando è stata la prima volta che ci siamo riuniti tutti in quel grande salone, con il tavolo rotto e il lampadario troppo basso,
per giocare, bere, chiacchierare, sparlare e dire cazzate.
Certo, ho molte foto di tanti bei momenti, e per la paura di qualcuno anche dei video.
Sorrido, di tanto in tanto li riguardo, anzi me li rivedo nella mente.
Siete voi, intorno a un tavolo, voi che entrate in casa con Luna che abbaia per il biscotto, con Indiana che fa la pipì in giro,
voi che portate una bottiglia di vino, casino e risate. Voi che siete entrati nella mia vita e che sapete dall'inizio che questo post
sarebbe stato lungo, poetico, melenso, che per quello che scrivo mi prenderete un pò in giro ma che sapete già di cosa sto parlando.
Già, lo sapete, non fate finta di non capire. Perché io vi spezzo le gambe, come dico sempre quando m'incavolo e punto i piedi.
Se avessi ancora il mio forno vi preparerei una torta, se avessi il mio salone, vi inviterei a entrare, se avessi il divano vi inviterei a vedere un film
per scoprire ai titoli di coda, tutti insieme, che ci siamo addormentati perché eravamo stanchi.
Ecco, la stanchezza.
Il tempo passa, non ci possiamo fare niente.
Guardate la mia casa, non c'è più.
Al suo posto restano quelle serate, quelle non le abbatterà mai neanche un martello da muratore.
Al suo posto ci sono i ricordi, e nessuna foto potrà renderli più vividi.
Al suo posto ci siamo noi, tutti. Le litigate, gli scazzi, le risate, e tutto quello che c'è nel mezzo.
Al suo posto ci sarà un altra casa, un altro salone e un'altro divano.
Eppure noi saremo sempre gli stessi... allora mi chiedo, il tempo passa davvero?
Forse.
Abbiamo i nostri impegni e ne sono felice, le cose cambiano e per alcuni si complicano, ma noi abbiamo qualcosa in comune,
siamo i Goonies o no? Certo che lo siamo, cavolo!
Sì, lo so, sembrerà esagerato scrivere queste cose quando il motivo è "la nostra serata", giocare, riunirci intorno a quel tavolo.
Ma so che mi capite, perché anche se abbiamo già fatto questo discorso altre volte, promettendo di non far tardi, di scrivere sul forum,
di avvertire cambi di programma improvvisi, ci siamo ricascati di nuovo, eppure abbiamo sempre ricominciato.
Ecco, sappiate che io ricomincio sempre, perché questa, per me, è una cosa che conta.
Perciò, brutti stronzetti, tiro i dadi e lascio a voi fare i conti...
Tuona, e al buio nel mio salone vuoto, pieno di calcinacci, l'unica cosa che vedo siamo noi.
Perché casa è dove siamo.