sabato 13 ottobre 2007


Oggi posto questo racconto che ho scritto un po' di tempo fa, perdonatemi se è un po' lungo e tristarello...Non che sia bellissimo, ma tenerlo chiuso in una cartella del pc mi pare inutile...Com'è probabilmente inutile il fatto che io l'abbia scritto...Non so neanche più se mi piace,ma voglio farlo parlare comunque, di sicuro vi posso dire che ho cambiato il finale. Era troppo triste e sinceramente troppo sbrigativo!


L'uomo del Tram

Era un mattino sottile, stiracchiato tra le nuvole sobriamente disposte in cielo.
Il tram arrivò in ritardo di dieci minuti; era affollato, pieno di mattinieri lavoratori. L’odore del freddo era quasi impercettibile, lo si ritrovava solo nei giacconi consunti dei passeggeri. La strada scivolava veloce dai finestrini: case, alberi, visi, negozi, macchine. I passeggeri scendevano silenziosi, a mucchi, anime in processione verso la fine della vita. Poi, all’improvviso, T. lo vide: l’uomo era come assopito dal torpore della folla, stava seduto con un’aria assorta in pensieri complicati, ramificati.
Aveva tra le mani delle buste e un paio di fogliacci che erano evidentemente usati perché s’intravedevano righe d’inchiostro scritte con una calligrafia indefinibile. Indossava degli scarponi marroni infangati e consumati, senza lacci e logorati dal tempo. ‘Che sia un barbone?’ No, non poteva essere un barbone, non c’erano tracce di bottiglie mezze vuote, né quell’alone d’ebbrezza e dimenticanza che li accompagna di solito. No.
L’uomo sembrava provenire da un altro mondo, era diverso, ma non si poteva dire in cosa o perché; sembrava quasi evanescente, nei bagliori dei finestrini. La luce pareva carezzarlo e volerlo nascondere a occhi indiscreti, come fosse un figlio perduto da tempo e ora ritrovato.
Il tram era ripartito già da un po’, aveva fatto altre fermate, ma l’uomo era rimasto seduto. Per tutto il tempo la testa era rimasta china e non se ne capivano i motivi. Non un solo muscolo s’era mosso, persino il respiro era impercettibile, come se a lui non servisse ossigeno per vivere, che i morti non ne hanno bisogni. Forse era questo, forse era morto e nessuno, intorno, l’aveva capito. O magari era semplicemente un poveruomo che si prendeva una pausa dalla vita.
In lui, però, c’era qualcosa, una specie di incanto, di magia, una magica poesia che talvolta si ritrova nei volti degli sconosciuti. Il viso dell’uomo, tuttavia, era appena visibile da sotto uno strambo cappello, così ampio da lasciar scoperto solo il mento. Era un bel mento, aveva di certo molto da raccontare e senza dubbio aveva viaggiato molto, ma allora com’era possibile che ora stava in bilico tra la vita e il sonno su una poltrona lurida d’un tram?
Ipotesi se ne potevano fare tante, troppe, così, come succede in questi casi, T. decise di non voler indagare, e di continuare a fantasticare su quel buffo signore che, raggomitolato come un gatto, riposava in pace in fondo al tram.
Era quasi arrivato a destinazione, mancavano solo cinque fermate, e il tempo non sarebbe affatto bastato a fargli scegliere se rinunciare a scoprire chi fosse l’uomo o se svegliarlo e almeno vederlo in faccia. T. non aveva tempo e invidiava quel tipo che poteva girare tutto il giorno senza preoccuparsi degli orari, godendosi il lento ronzio del motore del tram, la gente che mormora mentre aspetta di scendere, la strada che scorre sotto. Decise di scendere senza svegliarlo, pensò che forse era così che doveva andare, che se ci avrebbe dovuto parlare allora l’avrebbe incontrato quand’era sveglio.
Per tutto il giorno, a lavoro, T. non fece che pensare all’uomo del tram. Non capiva come mai quell’immagine l’avesse colpito così tanto.
La giornata, difficile e faticosa, passò lenta ma indolore, d’altra parte T. faceva uno di quei lavori che dopo un anno già cominci a odiare, e lui, infatti, lo odiava. E odiava se stesso per aver scelto la strada più semplice e aver accettato di chiudersi per 10 ore al giorno in un palazzo asettico e freddo, dove anche la pausa caffè era un’applicazione di buone maniere. Ripensava spesso a quando, da ragazzo, avrebbe voluto girare il mondo; tutti vogliono farlo, ma solo alcuni lo fanno davvero. Era un’idea che ogni tanto gli tornava in mente, ma ci sarebbe voluto un vero incantesimo per smuoverlo dall’ingranaggio in cui s’era incastrato, e lui non aveva più le forze per uscirne da solo. Ma, tutto sommato, T. non era così infelice, a volte riusciva ancora a sorridere e a immaginare, fantasticare, ed era proprio quello che gli era capitato quella mattina sul tram.
Il tram.
Di nuovo pensò a quell’uomo, e sorrise.
La sera avrebbe dovuto prendere di nuovo il tram e così si domandò se l’avrebbe incontrato ancora. Uscì felice e quasi eccitato dal palazzo e arrivò alla fermata. Quando in lontananza vide arrivare il tram, decise che questa volta avrebbe svegliato l’uomo, ci avrebbe parlato e magari gli avrebbe offerto un caffè, o un tè caldo in qualche caffetteria.
Forse avrebbe scoperto che quel tipo era uno che viaggiava in giro per il mondo e avrebbe deciso di partire con lui, finalmente, e di lasciarsi tutto alle spalle perché, lo sapeva, era l’unica cosa giusta da fare. Giusta per lui.
Il tram si fermò e T. cercò l’uomo in vano: il sedile era vuoto e di lui non c’erano tracce.
Sorridendo per aver pensato di poterlo incontrare di nuovo, si sedette e aspettò di tornare a casa, ancora una volta, come ogni giorno.
Ma qualcosa era cambiato, i giorni seguenti T. sperò di incontrare ancora l’uomo del tram e ogni volta che saliva i gradini e non lo vedeva si sentiva strano, un misto tra il felice e il depresso. Pareva quasi che quella fosse stata davvero un’apparizione e T. cominciò a pensare che l’uomo fosse un presagio, che volesse dirgli qualcosa, ma non seppe cosa finché, una mattina che pioveva a dirotto, il tram passò, con il solito ritardo.
La folla salì. La folla scese.
Ma T. quella mattina era in ritardo, cominciò a correre e ce l'avrebbe fatta perchè il tram era ancora fermo. All'improvviso lo vide.
L'uomo del tram era lì, dall'altra parte della strada che guardava la folla correre contro il tempo. Sorrise e poi si voltò, con quello strano cappello sempre calato sulla testa.
T. lo guardò, e improvvisamente il tram ripartì, carico dei dannati da portare ai loro gironi infernali. Così T capì che non doveva più correre e che l'uomo del tram non lo avrebbe mai più rivisto.
Dall'altra parte della strada, ora, c'era solo un cane che zampettava sul bordo del marciapiede.

2 commenti:

Il Gabbrio ha detto...

vago tra la rete in cerca di bloggers che scrivano racconti...da quando ha iniziato il buon Lorenzo Bartoli, molti lo hanno seguito e sono contento che anche tut ti sia unita al gruppo!
Il racconto è bello, specialmente la prima parte dove descrivi molto bene il tram, le sensazioni, l'uomo misterioso...il finale non è molto triste dài : ) almeno non lo è per me che amo i finali tristi.
Bel raccontino, ti linko al volo!!! : )

Ele ha detto...

eheh grazie:) il finale non è molto triste perchè l'ho cambiato!
Lorenzo oltre ad essere bravissimo da anche ottimi consigli, personalmente non so che scriverò qua dentro..comunque staremo a vedere. è troppo tempo che scrivo e non legge nessuno...

Con piacere ti linko anche io!